"Rinascita: 101 poesie armene 1890-1989" a cura di Mariam Eremian
Ci sono libri necessari che possono salvare la vita o accrescerla, libri onesti intellettualmente ed altri che non lo saranno mai, che non salveranno mai nulla. Ci sono libri che dischiudono, forte, usci dei cardini di ruggine. Poi quelle porte, quelle finestre, quei conglomerati lasciano intravedere paesaggi inusitati, spelonche che portano con sé abbracci e carezze sul cuore, tutte egualmente necessitanti, di cui non si può fare a meno. "Rinascita: 101 poesie armene 1890-1989" a cura e con traduzione di Mariam Eremian è proprio uno di questi. Un libro onesto, non d'occasione. Libro come pochi. Non ricordo di aver mai incontrato di persona la curatrice di questa antologia. Una volta o forse due - ma da allora sono trascorsi ben più di dieci anni - ho parlato con lei al telefono quando lavorava presso l'Ambasciata d'Armenia a Roma. Ne ricordo la voce gentile e l'intonazione francese di qualche parola, rigorosa e perfetta, con un je ne sais quoi, come di prato e di ricreatorio. Una voce che non saprei attribuire ad un volto. Eppure mi pare di ri-conoscerla quella voce, nelle scelte di questo florilegio della poesia armena per cento e un anni: quasi una poesia per ogni anno. Sin dall'apertura di questo libro vi si ritrova un alto livello di coscienza linguistica, un profilo profondo dell'identità letteraria degli autori che la signora Eremian ha scelto di scegliere. Le scelte sono evidenti anche attraverso gli autori che non ha inserito, nelle liriche che ha deciso di tradurre e di come le ha tradotte. Non sono le scelte di un italiano nativo e non sono neppure, le consuetudini, paludate, e talvolta retoricissime, o le messe in scena da chi ama l'Armenia per obbligo di Amore di Patria. A ciò si aggiunge il dato per cui non è mai facile leggere la poesia tradotta da una lingua straniera: pertanto l'antologia della rinascita della poesia armena è anche un Atto d'Amore civile, un prezioso e bianco fiore, sia da parte di chi l'ha ideata, sia da parte di chi scelga di leggerla. Questo amore è intenso come un lungo abbraccio e non manca di essere struggente, anche per chi è ormai italiano per scelta, per matrimonio, e cosa più importante, per maternità. Forse è proprio da questo bisogno, dettato dall'impossibilità naturale di amare in una lingua non propria, che provengono le scelte e la sensibilità all'uso della lingua di traduzione come lingua del reale. Sta proprio in questo anche l'obbligo del curatore di una antologia, decidere cosa metterci dentro, cosa lasciar fuori, come interpretare e se farlo, quale significato della parola adoperare, se mistificare, se accrescere o spegnere i toni, intervenendo a gamba tesa o meno nella politica, nella civiltà dei due popoli, quello da cui si parte e quello a cui il libro si riferisce. Non si percepisce mai in questo testo l'improbo tentativo di dare alla lingua armena una traducibilità in versi dalla struttura e dalla metrica apocrifa alla stessa tradizione. La signora Eremian non si arrampica mai sugli specchi di un italiano che possa apparire ridicolo, fatto di rime alternate, baciate e strutture fintamente concatenate che nessun poeta credibile usa più da almeno 50 anni. La lingua di traduzione è piana e decisa, rapsodiante ma non delirante, fatta di un italiano attuale, di toni comprensibili, in una parola contemporanea e onesta. Magari questa lingua, per sé stessa, potrebbe apparire impoetica (non adatta alla poesia), potrebbe non piacere ai grammatici, ai censori - a tutti coloro contro i quali combattiamo anche noi battaglie da anni, lancia in resta, e con spirito che può apparire donchisciottesco. Questa lingua è vera: inadatta ai meschini che sanno guardare solo il presunto errore altrui e non considerano l'ignominia delle loro fetide anime di pedanti intellettuali della domenica. Non è una lingua adatta agli Ottentotti e neppure per ai Parigini. Questa lingua è inadatta a coloro che credono alla poesia fatta solo di cuori, fiori, amori, splendori, stridori, timori, tremori o dolori. Bisognerebbe prendere esempio dal coraggio di questa lingua, come lingua della traduzione, lingua dalle scelte felici, spesso non facili, lingua di interpretazioni che non snaturano ma che, al contrario, esaltano la parola nativa dell'armeno, lingua che proclama il lemma, che professa il senso intimo della langue, senza mistificare la parole in onanistici tentativi di esaltazione del sé, senza senso. Auguriamo a questa antologia della poesia armena della rinascita la piena affermazione tra i lettori di poesia e tra gli amanti della cultura armena, auspichiamo la conquista di abbondanti premi, di riconoscimenti onesti, senza piaggeria. Facciamo voti affinché il coraggioso editore Fuorilinea di Monterotondo, provincia di Roma, possa godere un ottimo successo di vendite, per sé e per la diffusione della cultura armena in Italia, nostro imperativo categorico.
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