"Per l'Armenia": Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il 26 novembre 1918 dall'on. Luigi Luzzatti
Vi sono due metodi per sostenere il diritto di nazionalità. Uno lo chiamerei il metodo italiano di Mazzini, di Cavour, di Mazzini, quello che, con le armi, in modo invitto e insuperabile fu propugnato da Garibaldi, il cavaliere della umanità coll'Italia sempre nel cuore. L'altro è il metodo tedesco, il quale consiste in questo: per difendere la nazione germanica è lecito opprimere le nazioni vicine, le quali non devono turbare la santa quiete di questo popolo, destinato a vincere non soltanto per il suo ingegno, ma anche per la ereditaria nobiltà derivata dal cielo. Per questo metodo, primi i Polacchi dovettero pagare il loro tributo al Germanesimo, poi i Danesi, infine gli Alsaziani e i Lorenesi e, se non fosse stato vinto, il mondo intero avrebbe dovuto curvarsi per sostenere i diritti ipotetici di questa gente privilegiata. Il principio italiano consiste in ciò: amiamo la nostra patria, adoriamo la nostra nazione, ma soffriamo anche per le dure servitù e per le ingiustizie, alle quali le altre stirpi vanno soggette. E di Virgilio, è di noi questo verso:
Non ignara mali miseris succurrere disco.
Quando il più grande uomo di Stato della seconda metà del secolo XIX dopo Camillo Cavour, Guglielmo Gladstone, levò il grido delle libere nazioni, due popoli egli congiunse nell'eguale amore, l'Italia e l'Armenia. Prima di morire ebbe la gioia, che a tutti noi comunico, di veder liberata l'Italia, ma raccomandò all'Inghilterra, raccomando ai suoi amici d'Italia di difendere l'indipendenza dell'Armenia; essa per lui rappresentava il privilegio del martirio. E invero, onorevoli Colleghi, se non fosse l'ora che ci costringe a discutere con brevità, vorrei narrarvi l'ordine, la graduazione dei popoli martiri; dopo gli Ebrei, gli Armeni terrebbero il primo posto; essi si possono chiamare i protomartiri della violenza umana. Questa guerra terribile, si è iniziata con un massacro degli Armeni, senza riscontro nella storia, e finisce oggi con un altro massacro degli Armeni. Soggetti alla triplice servitù della Turchia, la più crudele di tutte, della Russia, crudele a intermittenze, della Persia, mitemente crudele, ma sempre crudele.., si adunarono a Erzerum per discutere la propria condizione politica. I Turchi si fecero rappresentare dai loro emissari e promisero agli Armeni la autonomia se avessero combattuto contro gli Alleati. Gli Armeni non esitarono, risposero con un fiero rifiuto; e allora i Turchi, sotto gli occhi, e forse per i consigli della Germania, istigarono i Curdi, i loro assassini, a compiere quel massacro che oscilla secondo i numeri degli ottimisti a 500.000 vittime, e secondo quello dei pessimisti a 700.000: le donne rapite per gli harem, i fanciulli violati o ridotti in servitù. E anche di questi giorni, dopo l'armistizio, dimenticati nell'ultimo Convegno dagli Alleati, i quali avrebbero dovuto e potuto sottrarli alla dominazione turca, anche di questi giorni abbiamo accolte con orrore le notizie che i Turchi, per dimostrare la loro sovranità hanno fatto oltre 20.000 vittime. Si tratta sempre di truci numeri di questa specie! Cosi quel popolo, già ridotto sotto i 7 milioni, per le persecuzioni è oggidì ancor più di minuito. E tuttavia esso seppe organizzare una milizia a proprie spese, con generali degni di essere ricordati alla Camera dei Comuni, combatte nel Caucaso, in Palestina, e fu citato all'ordine del giorno dai capi dei nostri eserciti alleati. Perché è questa la tradizione di resistenza degli Armeni alle barbariche incursioni! Per cento anni ritardarono l'occupazione di Costantinopoli da parte dei Maomettani, combatterono sempre per la causa della civiltà e furono sempre sopraffatti, cosicché è vero ciò che diceva Gladstone: è impossibile essere migliori ed è impossibile avere conosciuto una più avversa fortuna. È lecito sperare, onorevoli Colleghi ed egregi Ministri, che nel prossimo convegno della pace, ove si devono cancellare le ultime tracce del 1815, le ultime tracce dell'alleanza dei Principi contro i popoli, si deliberi l'indipendenza e l'autonomia politica di questi amitti, in modo che essi possano ripigliare le loro antiche tra dizioni, giungendo ad uno di quei porti illustrati nel Medio Evo quando avevano così feconde e frequenti relazioni economiche con le repubbliche di Genova e di Venezia? Non si potrebbe dubitarne, perché non si può dubitare che dal congresso della pace non esca anche l'affrancazione di questo ultimo, di questo eletto e più specialmente martorizzato popolo della terra. Qual che baleno di speranza già splende. Io narrai, per incarico della società italiana «Pro Armenia», al Presidente del Consiglio i dolori di questi afflitti e offesi che hanno a Roma i loro rappresentanti (assistenti a questa seduta della nostra Assemblea, pieni di speranza e di fiducia nella generosità dell'anima italiana), gli narrai tutti i loro dolori, e il Presidente del Consiglio, quantunque sia molto cauto nel discutere i problemi di politica estera, anche per l'austera compagnia dell'illustre Ministro Sonnino, il Presidente del Consiglio, certo concorde col suo collega, in un impeto di amore per questo popolo oppresso, scatto, e stringendomi forte la mano, mi dichiarava: «Dica agli Armeni che io fo mia la loro causa» Onorevole Orlando, quando riferii queste parole ai rappresentanti degli Armeni di Persia, di Turchia e di Russia, sul volto di quei forti scorsero lacrime di conforto, che forse non avevano versato innanzi agli spettacoli di terrore offerti dalla loro patria! Onorevole Orlando, un altro Ministro del suo Gabinetto, il Meda, assisté a un convegno recente dove io parlai a favore degli Armeni, dove parlarono il Di Cesarò e l'Arcà, e il Meda disse, insieme a noi, fervidi eloquenti auguri per la causa degli Armeni. Non mancarono a loro in quella occasione né i favori del cielo, né i favori della terra. Questa è la vera concordia nazionale: si move dalla terra e si va al cielo ovvero si move dal cielo e si arriva alla terra; e a mezza via ci incontriamo nell'amore dei popoli oppressi.
Gli Armeni mi pregarono di difendere la loro causa anche fuori d'Italia, e accennarono alla mia amicizia col Ministro degli Affari Esteri della Francia, il Pichon: uno stati sta che non ha mai cessato, nella lieta come nella triste fortuna, di amare l'Italia e di sentire i legami fraterni che devono stringere queste due privilegiate stirpi latine. Senza la loro assoluta concordia, nuovi guai si prepareranno nel mondo! E Pichon mi rispose: «nessuno è più rattristato di me pei dolori d e gli Armeni. La Francia vuole assicurare la loro esistenza futura fuori del giogo turco». Parole cinte di somma e forte pietà, alle quali noi aggiungiamo le seguenti: all'infuori del giogo turco, del giogo persiano e del giogo russo, che, a intermittenze, non sono meno crudeli del giogo turco. Desiderarono anche se ne parlasse con un uomo di Stato insigne, Leone Bourgeois, che, come voi sapete, per incarico del suo Governo e forse degli Stati Uniti, sta preparando i primi essenziali rudimenti per la pace e per la Società delle Nazioni. E Leone Bourgeois risponde così al senatore Bodio, amico suo, che lo aveva vivamente impegnato per questa nobile causa: «Voi potete dire al nostro amico Luzzatti che io approvo pienamente la campagna che egli conduce per la difesa della causa si giusta e si umana degli infelici Armeni. «Speriamo che nella negoziazione della pace e nella indispensabile organizzazione della Società delle Nazioni libere, un conto giusto sarà tenuto dei diritti di questa nazione così lungamente martirizzata e che la liberazione sarà pari alle sue sofferenze». Io credo che la Camera italiana debba prendere atto di queste mirabili parole di uno degli uomini di Stato più pensosi e più liberi, che ha sentito sempre battere nel suo cuore francese i diritti di tutta l'umanità sofferente! Onorevoli Colleghi, quale nuova gloria e quale gloria maggiore se i nostri Ministri, il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Affari Esteri, tornando dalle negoziazioni di pace e riportandoci la lieta novella che l'Italia è sicura nei suoi giusti confini e le nostre genti sono ridonate all'amplesso della Madre che le attende, annunziassero anche la liberazione completa e intera dell'Armenia, in modo che questa sua palma del martirio si muti in palma di gloria, nell'olivo di pace da lunghi secoli atteso!
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