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Il coraggio di una donna nel dramma del genocidio armeno a Kessab. Il romanzo di K. G. Apelian, “La NUORA” tradotto da Kegham J. Boloyan. Articolo di Carlo Coppola



Oggi 28 agosto 2022 nella prestigiosa rassegna "Libri nel Borgo Antico" che si tiene come ogni anno a a Bisceglie sarà presentato La Nuora romanzo storico sul Genocidio armeno a Kessab in Siria. Appuntamento alle ore 19,10 in Largo Piazzetta a Bisceglie. Con il curatore dell'edizione italiana Kegham J. Boloyan, interverranno Rupen Timurian, Carlo Coppola, Piero Fabris, Angela Rutigliano e Siranusc Quaranta.

*La prima stesura di questo breve saggio di Carlo Coppola, qui riveduto e corretto nei suoi tratti specifici sul portale bari-e il 22 aprile 2022.

Kegham Jamil Boloyan è un siriano armeno, naturalizzato italiano, docente di lingua e letteratura araba e lingua e traduzione araba presso le Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari - in passato, per alcuni anni - e attualmente presso l'Università del Salento (Lecce). A partire dal 2012 ha iniziato il suo impegno pubblico attraverso la curatela in Italia di libri aventi per tema il genocidio del popolo armeno, in particolare in Siria, suo paese amato martoriato da una decennale guerra civile che ha minato, non solo le fondamenta del governo siriano laico e tollerante, ma anche la convivenza pacifica tra etnie.
Nelle sue ultime e fortunate traduzioni, che hanno visto la luce per altrettante case editrici baresi (FaL vision, Stilo, Radici Future) l’opera di divulgazione compiuta da Boloyan ha riguardato proprio i rapporti tra cultura arabo-siriana e minoranza armena. Gli armeni in Siria sono da sempre una minoranza colta e ben integrata, fedele alla Repubblica, con istituzioni proprie e spazi garantiti anche nell'amministrazione statale.
Numerose sono le testimonianze che l’autore e traduttore riporta nei volumi da lui curati: il racconto di un re-incontro fra due sorelle scampate al genocidio del 1915, avvenuto casualmente a molti anni di distanza nella Damasco degli anni ’50 (Il Richiamo del Sangue, 2013) l’indagine testimoniale, sociologica e antropologica, attraverso una riflessione sulla propria condizione pubblica attraverso i pareri degli altri (Il Genocidio armeno del 1915 nel pensiero degli intellettuali arabi siriani, 2018) e infine, passando per traduzioni diverse (Il narratore del deserto. 'Abd al-Salam al-'Ugayli, 2014 e I mendicanti nobili di Hagop Baronian, 2019) e adesso un romanzo drammatico. L’ultima fatica di Boloyan, accompagnato nella traduzione da Daniela Musardo, è infatti La Nuora di Kevork (George) Apelian.
Nella sua opera di narratore Apelian, scomparso a 71 anni nel 2011, già docente della Haigazian University di Beirut e membro della Federazione Rivoluzionaria Armena (Dashnatktsutyun), ripropone i drammatici fatti accaduti alla sua famiglia a partire dai primi anni del ‘900. 
La società ottomana al bivio iniziava ad escogitare le strategie di innesco dei conflitti tra le minoranze, nel tentativo di proclamare l’etnia turca pura come unica dell’impero. Esso, infatti, scopriva l’ideologia dello Stato, così come spiegata da Hegel, la perfezionava nel tentativo, poi realmente avvenuto, di cambiarne adattarla alla propria realtà geografica e storica cambiandone il volto. Si partiva dalle cinque dita della mano del Sultano (turchi, armeni, greci, ebrei, arabi), le si prendeva in considerazione una alla volta, e il dito rappresentato dagli Armeni era solo il primo in ordine di tempo a dover essere tagliato, nella vana speranza che le altre, pure infette dal virus della modernità e dell'occidentalismo, non andassero in cancrena. Dopo quello armeno, anche il dito rappresentato dai greci fu tagliato, ma solo in piccola parte rispetto alle previsioni. Le strategie di eliminazione degli ebrei furono passate alla generazione successiva, alla Germania nazista, sempre prussiana, nella perfetta continuità della medesima visione strategica.
Il romanzo La Nuora, tradotto da Kegham Jamil Boloyan, rappresenta un insieme di microstorie, accadute ad una medesima famiglia originaria di Kessab, avamposto armeno in Siria, un luogo di resistenti, martiri, di profeti, alcuni dei quali già in procinto di emigrare verso gli Stati Uniti e che solo la sorte sfavorevole aveva impedito. All’interno di questa grande comunità, la storia ce ne racconta una, quella della missione evangelica, il cui capo è il pastore Dikran. Il lettore si aspetterebbe qualcosa in più, il coraggio di Dikran come quello del re Dikran di cui porta il nome, il sovrano della grande Armenia, prima in opposizione e poi al fianco dell’Impero romano. Ma il pastore Dikran non è un condottiero, al massimo un osservatore, e indossa dentro di sé il velo nero del curato del racconto di Howtorne. Anche nel momento in cui la sciagura si manifesta nella sua totalità egli resta imperturbabile, con i pugni ben piantati in tasca: sospende qualunque giudizio, qualunque emozione critica, egli osserva, osserva, osserva e ascolta.
Intorno a lui Anna, la protagonista, cerca di essere l’artefice del suo ineluttabile destino, di sposa promessa, che caparbiamente rinuncia ad un matrimonio combinato, recandosi a casa del suo vero innamorato. Organizza ciò che nulla a che fare con una "fuitina", anche perchè la "fuitina" o "rapimento" prevede antropologicamente la passività o semi passività e incoscienza della ragazza. Non c’è nessuna frivolezza e nessuna prurigine nel desiderio di compiere le proprie scelte. Anna – la sposa, la nuora – è il mistero stesso del Donna "Faber Fortunae Ssuae". Anche quando gli uomini non sarebbero in grado e non avrebbero la struttura o la maturità psicologica per determinare il loro destino, lei c’è.
In questa narrazione tutti sono vinti. Gli uomini, le donne, i bambini ed anche il mulo di casa. Nessuno può resistere all’ineluttabile, al destino già scritto, alla reale e talvolta comoda assenza del libero arbitrio, al silenzio di Dio, anche quando questo porta alla propria morte e all'annientamento di sé e degli altri. Alla fine le coscienze, risultano inevitabilmente lacerate dall'orrore e nella loro interezza, tornano a ballare in una sorta di pacificazione, una vera e propria, paradigmatica, Totentanz.



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