Le conseguenze della musica: intervista a Pasquale Catalano di Alessandra Tamborrino e Carlo Coppola
ideata e realizzata da Alessandra Tamborrino e Carlo Coppola
Abbiamo incontrato Pasquale Catalano a Bari, in occasione di una lezione sulla musica da film. Durante l’incontro il compositore de Le conseguenze dell’amore ha parlato di storia delle colonne sonore, e delle sue idee sulla musica. Di quale effetto faccia ascoltare l’ultimo tema scritto per il cinema associato alla pubblicità di un’automobile, e di molto altro. Dopo l’incontro gli abbiamo rivolto alcune domande circa la sua formazione e il percorso professionale.
Colonne Sonore: Quando hai cominciato a occuparti di musica da film?Pasquale Catalano: Il primo film che ho fatto è stato Libera di Pappi Corsicato, che avevo conosciuto come musicista teatrale. Avevo già collaborato con Enzo Moscato per alcuni spettacoli in teatro e insieme abbiamo riscritto Angelitos negros, lui il testo, io gli arrangiamenti.
CS: Quale metodo utilizzi quando lavori assieme al regista?PC: Dipende fondamentalmente dal regista. Il metodo che preferisco è sicuramente partire in fase di sceneggiatura, iniziare a comporre musiche più legate alle sensazioni suscitate da quest’ultima che alle singole scene, pezzi musicalmente autonomi, che di solito sono anche molto complessi. Questo serve ad arrivare in montaggio con tracce temporanee che corrispondono già alla colonna sonora originale, per sviluppare poi gli score e gli arrangiamenti definitivi da registrare in sala d'incisione e processare in postproduzione audio.
CS: Quali sono stati i riferimenti fondamentali per la tua formazione musicale?PC: Sono tanti…una parte di formazione classica, fondamentalmente Bartok e Messiaen; nel contemporaneo i minimalisti inglesi ed americani; la ricerca del suono di Artemiev, Hassell e Eno; la sperimentazione dell’elettronica, gli Oregon e Ralph Towner; il rock, il pop... poi, essendo di Napoli, ho avuto la fortuna di seguire l'evoluzione del genio di Roberto De Simone e, come tutti gli adolescenti della mia generazione, di formare una educazione sentimentale con la musica di Pino Daniele e i film di Massimo Troisi.
CS: Riguardo al ruolo che una colonna sonora dovrebbe avere rispetto alle immagini, in genere si pensa che la musica dovrebbe essere “funzionale” al testo visivo. Tu cosa pensi?PC: Questa è una concezione che non ho. Ho una sensibilità che si adatta al tipo di film, un sentire se è necessario un certo tipo di musica, un tipo di presenza musicale nel film; e anche sentire quando non è necessario, quando non ci vuole. Secondo me non c’è né una forma né un’estetica predefinita per cui si possa dire “questa è la musica che funziona nei film”.
CS: Ci parli della tua collaborazione con Paolo Sorrentino? (ndr-regista de L’uomo in più e Le conseguenze dell’amore)PC: È nata in tempi molto lontani. Siamo diventati amici molti anni fa… lui aveva fatto un piccolo video e un comune amico, il regista Stefano Russo che era il suo montatore, ci ha presentati, quindi abbiamo musicato i video. Per un periodo abbiamo animato un circolo cinematografico a Napoli, poi è stato abbastanza naturale, quando c’è stata la prima possibilità produttiva, lavorare insieme.
CS: Per quanto riguarda il brano principale de Le conseguenze dell’amore, come mai questa scelta dell’ottetto d’archi in stile minimalista per rappresentare le inquietudini del protagonista?PC: Istintivamente mi sembrava la cosa giusta. Il brano principale “Le conseguenze dell’amore” era un pezzo già esistente; Paolo lo ha sentito e scelto, pensando che potesse diventare il motivo musicale del film. Poi c’è una gran parte di musiche di repertorio di “minimalismo elettronico” freddo, che hanno le stesse caratteristiche strutturali ma si oppongono ai temi scritti da me, che sviluppano un percorso “caldo”, un percorso emotivo “rosso”… meno “verde”, come nel resto del film.L’uso di questo ensamble e del tipo di sonorità che ha fatto Nyman anche in altri contesti, in altri tipi di film… mi sembrava giusto; mi piaceva partire dal tema de Le conseguenze dell’amore, che corrisponde a una scena in piano sequenza, e finire col riarrangiarlo facendolo diventare più “aspro”, quindi lavorando soltanto sullo staccato… penso che sia venuto bene, e anzi mi sembra di svilirlo spiegandolo troppo.
CS: Ne L’uomo in più siamo in una dimensione musicale molto diversa; canzoni ispirate stilisticamente a Bongusto, Califano, Gagliardi. Tutti artisti con vissuti, esperienze, percorsi umani “particolari” che sono alla base della loro musica e la loro dimensione poetica. Dato che tu appartieni a una generazione successiva che non ha vissuto certe atmosfere o contesti degli anni ’60 e ’70, la tua “ricostruzione” è solo un “esercizio di stile” o ti senti legato anche emotivamente e biograficamente a certe sonorità?PC: Un pezzo è certamente un esercizio di stile, la sfida è capire se riesci a farlo slegandoti dall’imitazione, facendo qualcosa di tuo, ma che corrisponde a una cosa del passato. Negli ultimi mesi ho rifatto questo che si può pensare un esercizio di stile scrivendo due canzoni neomelodiche per il film La guerra di Mario di Antonio Capuano. Io non sono cresciuto in Svizzera ma a Napoli, vivendo con dei livelli molto forti di attenzione, di emotività, di rabbia…non so quanto questo aiuti a scrivere una canzone di Buongusto, non me lo sono neanche mai chiesto; magari aiuta di più a scrivere un pezzo neomelodico. La base di ispirazione dei testi e delle musiche è stata il personaggio (ndr: Antonio Pisapia / Toni Servillo); che questi avesse delle altre storie dietro, che queste storie fossero ispirate a quelle di altri cantanti d’accordo, ma il riferimento è stata più la voce di Cocciante che la vita di Califano.
CS: Tu hai lavorato e lavori anche per il teatro. Quali sono le differenze principali a livello linguistico-musicale nella scrittura per il teatro rispetto a quella per il cinema?PC: La scrittura per il teatro richiede dei tempi molto più lunghi, perché pretende una presenza costante in teatro, mentre si svolgono le prove; e l’unico modo per capire che cosa sta succedendo è cercare di interpretarlo, quindi essere presente, parlare con tutti, regista, attori, scenografi, tecnici, condividere quei momenti. Nel cinema ci si basa quasi totalmente sulla scrittura della sceneggiatura e sul montaggio. Nel teatro lo sviluppo, il cosa succede, è un continuo divenire.
CS: A quali progetti stai lavorando?PC:Per il cinema è di prossima uscita il film di Antonio Capuano, La guerra di Mario; poi è in preparazione il nuovo film di Paolo Sorrentino L'amico di Famiglia.
CS: Ci sono altri registi con cui non hai ancora lavorato e per cui ti piacerebbe comporre?PC: Con Scorsese. In Italia mi farebbe piacere lavorare con Virzì. Ho trovato Ovosodo molto vicino alla mia esperienza personale di ragazzo che per anni ha lavorato in fabbrica. Mi piace pensare a lui come un regista con il quale mi troverei molto bene a lavorare.
Colonne Sonore: Quando hai cominciato a occuparti di musica da film?
Pasquale Catalano: Il primo film che ho fatto è stato Libera di Pappi Corsicato, che avevo conosciuto come musicista teatrale. Avevo già collaborato con Enzo Moscato per alcuni spettacoli in teatro e insieme abbiamo riscritto Angelitos negros, lui il testo, io gli arrangiamenti.
CS: Quale metodo utilizzi quando lavori assieme al regista?
PC: Dipende fondamentalmente dal regista. Il metodo che preferisco è sicuramente partire in fase di sceneggiatura, iniziare a comporre musiche più legate alle sensazioni suscitate da quest’ultima che alle singole scene, pezzi musicalmente autonomi, che di solito sono anche molto complessi. Questo serve ad arrivare in montaggio con tracce temporanee che corrispondono già alla colonna sonora originale, per sviluppare poi gli score e gli arrangiamenti definitivi da registrare in sala d'incisione e processare in postproduzione audio.
CS: Quali sono stati i riferimenti fondamentali per la tua formazione musicale?
PC: Sono tanti…una parte di formazione classica, fondamentalmente Bartok e Messiaen; nel contemporaneo i minimalisti inglesi ed americani; la ricerca del suono di Artemiev, Hassell e Eno; la sperimentazione dell’elettronica, gli Oregon e Ralph Towner; il rock, il pop... poi, essendo di Napoli, ho avuto la fortuna di seguire l'evoluzione del genio di Roberto De Simone e, come tutti gli adolescenti della mia generazione, di formare una educazione sentimentale con la musica di Pino Daniele e i film di Massimo Troisi.
CS: Riguardo al ruolo che una colonna sonora dovrebbe avere rispetto alle immagini, in genere si pensa che la musica dovrebbe essere “funzionale” al testo visivo. Tu cosa pensi?
PC: Questa è una concezione che non ho. Ho una sensibilità che si adatta al tipo di film, un sentire se è necessario un certo tipo di musica, un tipo di presenza musicale nel film; e anche sentire quando non è necessario, quando non ci vuole. Secondo me non c’è né una forma né un’estetica predefinita per cui si possa dire “questa è la musica che funziona nei film”.
CS: Ci parli della tua collaborazione con Paolo Sorrentino? (ndr-regista de L’uomo in più e Le conseguenze dell’amore)
PC: È nata in tempi molto lontani. Siamo diventati amici molti anni fa… lui aveva fatto un piccolo video e un comune amico, il regista Stefano Russo che era il suo montatore, ci ha presentati, quindi abbiamo musicato i video. Per un periodo abbiamo animato un circolo cinematografico a Napoli, poi è stato abbastanza naturale, quando c’è stata la prima possibilità produttiva, lavorare insieme.
CS: Per quanto riguarda il brano principale de Le conseguenze dell’amore, come mai questa scelta dell’ottetto d’archi in stile minimalista per rappresentare le inquietudini del protagonista?
PC: Istintivamente mi sembrava la cosa giusta. Il brano principale “Le conseguenze dell’amore” era un pezzo già esistente; Paolo lo ha sentito e scelto, pensando che potesse diventare il motivo musicale del film. Poi c’è una gran parte di musiche di repertorio di “minimalismo elettronico” freddo, che hanno le stesse caratteristiche strutturali ma si oppongono ai temi scritti da me, che sviluppano un percorso “caldo”, un percorso emotivo “rosso”… meno “verde”, come nel resto del film.
L’uso di questo ensamble e del tipo di sonorità che ha fatto Nyman anche in altri contesti, in altri tipi di film… mi sembrava giusto; mi piaceva partire dal tema de Le conseguenze dell’amore, che corrisponde a una scena in piano sequenza, e finire col riarrangiarlo facendolo diventare più “aspro”, quindi lavorando soltanto sullo staccato… penso che sia venuto bene, e anzi mi sembra di svilirlo spiegandolo troppo.
CS: Ne L’uomo in più siamo in una dimensione musicale molto diversa; canzoni ispirate stilisticamente a Bongusto, Califano, Gagliardi. Tutti artisti con vissuti, esperienze, percorsi umani “particolari” che sono alla base della loro musica e la loro dimensione poetica. Dato che tu appartieni a una generazione successiva che non ha vissuto certe atmosfere o contesti degli anni ’60 e ’70, la tua “ricostruzione” è solo un “esercizio di stile” o ti senti legato anche emotivamente e biograficamente a certe sonorità?
PC: Un pezzo è certamente un esercizio di stile, la sfida è capire se riesci a farlo slegandoti dall’imitazione, facendo qualcosa di tuo, ma che corrisponde a una cosa del passato. Negli ultimi mesi ho rifatto questo che si può pensare un esercizio di stile scrivendo due canzoni neomelodiche per il film La guerra di Mario di Antonio Capuano. Io non sono cresciuto in Svizzera ma a Napoli, vivendo con dei livelli molto forti di attenzione, di emotività, di rabbia…non so quanto questo aiuti a scrivere una canzone di Buongusto, non me lo sono neanche mai chiesto; magari aiuta di più a scrivere un pezzo neomelodico. La base di ispirazione dei testi e delle musiche è stata il personaggio (ndr: Antonio Pisapia / Toni Servillo); che questi avesse delle altre storie dietro, che queste storie fossero ispirate a quelle di altri cantanti d’accordo, ma il riferimento è stata più la voce di Cocciante che la vita di Califano.
CS: Tu hai lavorato e lavori anche per il teatro. Quali sono le differenze principali a livello linguistico-musicale nella scrittura per il teatro rispetto a quella per il cinema?
PC: La scrittura per il teatro richiede dei tempi molto più lunghi, perché pretende una presenza costante in teatro, mentre si svolgono le prove; e l’unico modo per capire che cosa sta succedendo è cercare di interpretarlo, quindi essere presente, parlare con tutti, regista, attori, scenografi, tecnici, condividere quei momenti. Nel cinema ci si basa quasi totalmente sulla scrittura della sceneggiatura e sul montaggio. Nel teatro lo sviluppo, il cosa succede, è un continuo divenire.
CS: A quali progetti stai lavorando?
PC:Per il cinema è di prossima uscita il film di Antonio Capuano, La guerra di Mario; poi è in preparazione il nuovo film di Paolo Sorrentino L'amico di Famiglia.
CS: Ci sono altri registi con cui non hai ancora lavorato e per cui ti piacerebbe comporre?
PC: Con Scorsese. In Italia mi farebbe piacere lavorare con Virzì. Ho trovato Ovosodo molto vicino alla mia esperienza personale di ragazzo che per anni ha lavorato in fabbrica. Mi piace pensare a lui come un regista con il quale mi troverei molto bene a lavorare.
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