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La leggenda di Sahak di Hrand Nazariantz

traduzione di Federico Balestra
da "Varietas Illustrata", 15 gennaio 1917


La sera ombra l'inquieta e valle morta nella pace ed il passaggio mutilo e feroce si chiude alla luce.
Un crepuscolo maledetto e bello, grandioso poema sofferto da una gente fatale esula crudelmente verso gli orizzonti oscurati delle ombre profonde.
un immenso dolore umano, come una melodia stanca, si stende nello spazio per onde, implorante.
O straniera, o mia dolce sorella in Maria, gli occhi non vedono più. Non dolce misticismo noi avvicina, ma la voce inesorabile e indistinguibile di una vendetta d'abisso, spira infinitamente mortale. Supera tal voce il mutismo amaro della notte e si sgrana come un rosario di cordoglio: 
- Sahak!... Sahak...!
Io dirò, o Straniera, la fonte di questa esistenza secreta, che erra da secoli senza memoria. Nessun furore simoniaco potrà disperdere la triste effusione d'anima che ci persegue:
- Sahak!... Sahak...!
La voce si lega alle rovine ed alle rocce fantastiche, agli ostacoli e agli impeti furiosi ottenebrati dalla follia. Questa voce dolente che piange nella notte asiatica, dicono i nostri vecchi, è il lamento eterno squisitamente vermiglio e melodicamente crudele, di un uccello doloroso, leggendario, che fu essere umano. 
                              
***

C'era una volta su questa terra d'angoscia, di incensi, di voluttà e di sangue, una madre. Viveva nell'insidia degli amorosi domani, sola col figlio che si nomava Sahak, in un palagio di topazio da le porte di porfiro.
La gloria del suo sogno allegrava le tacite vie dai fremiti di silenzio. L'anima ebriata d'amori non era che una gioia delirante sotto l'azzurro innocente. il fuco ondulava le fiamme nel focolare e negli occhi di lei languidi e voluttuosi.
Ed il suo figlio, luce d' suoi occhi, gioia delle sue gioie, maturava come un frutto d'oro di sole, per la vicina neve della sua età.
O Sogno!...
Non lontano dalla casa felice scorreva un'antica fiumana di perversa bellezza, come un perenne grondare d'opali, antica riviera su cui vagavano gli spiriti fatali...
Ogni volta che si gettava un ponte su le acque diaboliche il fiume imponeva che il primo passante fosse immolato in offerta agli abissi. Se no le onde, in un bizzarro doloroso concerto, gonfiandosi, inghiottivano il ponte.
Così la volontà funesta e strana del fiume.
Sahak, il biondo fanciullo, attratto dall'ineffabile idillio delle acque, perduto nella dolcezza d'un sogno mattinale, passò per il primo un ponte novellamente costruito. Le acque traditrici seguirono l'ombra e annegarono negli abissi il ponte e l'angelico passante.
                                      
                                                  **

Al tramonto, invano attese la Madre il ritorno del figlio. La notte solitaria rientrò e trovò spenta la lampada sulla tavola di marmo.
L'attesa fu vana, la madre, a mezza notte, lo chiamò sui cammini alti e soli dei monti e delle valli.
Ahimè, l'universo era muto! E in un grido sovrumano, ella ripeté il nome dell'unico amore perduto:
- Sahak!... Sahak...!
La sua coscienza era divenuta delirio. Più non conobbe il nome dei giorni e delle notti. Visse per un'Ombra che sfuggiva sempre al suo abbraccio desioso e materno.
Senza posa ella pianse il suo dolore immortale e cercò il figlio suo scomparso. Maturarono i grani per le sue lacrime e ne fu sazia l'eterna sete della terra.
Tutte le madri si posero a ginocchi dinanzi al suo cuore rotto. I fiumi cantarono la sua elegia.
 Un giorno il pianto era disperato.
D'improvviso, ella prese le ali, divenne uccello...sparì nella pace vasta dei cieli...


       **

E da secoli, quando la notte gronda l'oro e il suo argento su le nostre tenebre, s'ode la voce invisibile e misteriosa lamentare, chiamar sempre a distesa:
- Sahak!... Sahak...!



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