L'inchiostro e L'Archeometro: Enrico Cardile tra esoterismo e letteratura a cura di Frisone e Grimaldi
Un pensiero di Carlo Coppola
Sta per vedere la luce nell'amata Trinacria, per i tipi di Tipheret editore di Acireale, un volume di critica dal titolo "L'inchiostro e L'Archeometro: Enrico Cardile tra esoterismo e letteratura" che comprende gli atti del convegno "Enrico Cardile: l'uomo, il poeta, l'iniziato" tenutosi a Siracusa il 16 gennaio 2018. Presi parte al Convegno come presidente del Centro Studi "Hrand Nazariantz" e, in qualche modo come una sorta parente del medesimo. Negli ultimi anni, infatti, in molti hanno cercato di parlare di Hrand Nazariantz, dei suoi rapporti con gli intellettuali coevi e tra questi con Enrico Cardile, con cui il nostro intellettuale armeno mantenne una delle più proficue amicizie. Con grande probabilità questa fu l'unica che durò tutta la vita dagli anni della gioventù (dapprima in forma epistolare da Costantinopoli di cui restano alcuni frammenti) fino alla maturità e alla morte nel 1951 di Cardile (Nazariantz gli sopravvisse circa 11 anni).
Nel gennaio 2018 l'emozionante evento di Siracusa fu l'occasione per conoscere almeno parte dei nipoti e pronipoti del Cardile, quella stessa famiglia che il Nazariantz non riuscì mai ad avere, forse per scelta o per gli incroci del destino - a partire dall'anatema lanciato dalla madre Aznive Merhametciyan che aveva visto il figlio partire per sempre nella primavera del 1913.
La famiglia Cardile si disseminò in vari rami, e oltre al ramo Cardile, vi sono i Reale, Formosa, Salvo. Tra di essi ricordo sempre con affetto la signora Lucia Reale con i suoi figli, la cara Enrica Formosa, l'avv. Cesare Cardile, tutte queste persone mi hanno circondato del loro affetto e della loro amicizia.
Un particolare pensiero affettuoso e grato all'avv. Sebastiano Grimaldi che organizzò l'attuazione e realizzazione dell'evento convegnistico in modo zelante e impeccabile insieme alla famiglia Cardile. Io e Piero Fabris che andammo da Bari, ricevemmo ottima ospitalità e il convegno godette allora - me latore - del Saluto introduttivo ufficiale, a mezzo lettera, dell'Ambasciata della Repubblica di Armenia in Italia che riconosceva nella corrispondenza fra Cardile e Nazariantz e nella loro opera un elemento di diffusione della cultura armena in Italia nel Novento.
Per regioni di adeguatezza, seppure sollecitato nei mesi successivi al convegno, decisi di declinare l'invito a parteciparne agli atti. Prima di tutto per una forma di pudore.
Sono studioso dell'opera e della gesta del Nazariantz, dopo un ventennio di studio e ricerca sono ancora agli albori della comprensione.
La complessità della vicenda umana e letteraria cardiliana, non è mio terreno di indagine o caccia. Lascio ad altri più dotati di me certamente il compito di indagare le materie chiare e quelle oscure, io come sempre non posso che dare testimonianza di una presenza, di ciò che so per esperienza personale non per sentito dire. Non sono capace di riciclare le parole, i pensieri i sentimenti. Personalmente mi fermo ai rilievi evidenti e strumentali.
Il commento esegetico, l'analisi del parola, del gesto scritturale, del sotto-testo che sorregge la mirabolante impalcatura estetica li posso cogliere da lettore, ed esperirli attraverso la consuetudine con ciò che conosco, per comparazione o per disallineamento. Non ho mai avuto voglia di perdermi nell'erudizione, in un'atletica della semantica o della semiotica. Contemplo al massimo il fatto letterario alla luce di altri fatti storici, esperimenti, paradossi.
So che qualcuno ci resta male, mi percepisce come ribelle, ingrato, pigro, disattento, senza metodo. Ma il mio metodo primo, la mia pietra d'inciampo, il mio primo landmarks è l'onestà intellettuale.
Io non proclamo "verità" che non posseggo, perché una cosa è conoscere e studiare, magari comprendere e altra è possedere una conoscenza, una terza poterla proclamare.
Il commento esegetico, l'analisi del parola, del gesto scritturale, del sotto-testo che sorregge la mirabolante impalcatura estetica li posso cogliere da lettore, ed esperirli attraverso la consuetudine con ciò che conosco, per comparazione o per disallineamento. Non ho mai avuto voglia di perdermi nell'erudizione, in un'atletica della semantica o della semiotica. Contemplo al massimo il fatto letterario alla luce di altri fatti storici, esperimenti, paradossi.
So che qualcuno ci resta male, mi percepisce come ribelle, ingrato, pigro, disattento, senza metodo. Ma il mio metodo primo, la mia pietra d'inciampo, il mio primo landmarks è l'onestà intellettuale.
Io non proclamo "verità" che non posseggo, perché una cosa è conoscere e studiare, magari comprendere e altra è possedere una conoscenza, una terza poterla proclamare.
Io consegno subito ciò che ho da dire e dichiaro ciò che sono, senza infingimenti. È la grammatica, il mio zelo, la mia personale pedanteria che non differisco, quel rigoroso metodo della mia vita che da sempre utilizzo per poter andare a dormire tranquillo, custodendo in silenzio il fuoco prometeico, tra il ludibrio di coloro che - povere capre - pretendono con urgenza un dire circunnavigatorio e non concreto, e che imbellettano pagine di parole usate, abusate e riciclate.
Per tutto questo non posso che salutare con ammirazione la pubblicazione di questo volume a cura di Daniela Frisone e Sebastiano Grimaldi e le narrazioni biografiche e critiche che esso, dottamente, contiene, augurando piena fortuna critica e a massima circolazione possibile.
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