Punto di vista del Governo Italiano sulla Questione d'Oriente il 9 Aprile 1897
Ministro degli Affari Esteri Emilio Visconti-Venosta (1829-1914) |
dagli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati del Regno d'Italia - Tornata del 9 Aprile 1897 presentiamo una Dichiarazione dell'allora Ministro degli Affari Esteri, Emilio Visconti-Venosta (1829-1914)
Ai discorsi degli oratori che mi hanno preceduto, risponderò esponendo in quel modo che per me si potrà il più chiaro e il più schietto le ragioni che hanno guidato la condotta del Governo. Non rifarò, o signori, tutta la storia degli avvenimenti che hanno, in questi ultimi tempi, cagionato così gravi preoccupazioni all'Europa. Ma non credo inutile il riassumerli brevemente. Il cattivo Governo, le oppressioni e gli abusi dell'amministrazione ottomana avevano tenuto vivo, nelle popolazioni armene dell'Anatolia, un malcontento profondo, il quale, nei due trascorsi anni, proruppe in conflitti ed in torbidi che furono repressi nel sangue. E non lo furono soltanto coi mezzi militari di cui un Governo dispone. Nel tempo stesso uno scoppio selvaggio di fanatismo, di odio di religione e di razza spingeva le popolazioni musulmane contro le popolazioni armene, con cui vivono frammiste e faceva delle città e dei villaggi dell'Asia Minore il teatro di orribili stragi. L'azione dell'Europa ottenne dal Sultano la promulgazione di un piano di provvedimenti destinato a introdurre qualche guarentigia d'ordine e di miglioramento nei vilayt, dove gli armeni formano una parte notevole degli abitanti. Ma le stesse cause, gli stessi mali da cui è travagliato l'impero ottomano si ripercossero su altri punti delle Provincie soggette alla Turchia, e diedero la prima causa agli avvenimenti dell'isola di Candia. Da lungo tempo l'isola era in preda a rivoluzioni periodiche. Il moto insurrezionale del 1878 fu pacificato con la carta di franchigie chiamata patto di Halepa, che fu accettato dalle potente. Ma il patto di Halepa non fu fedelmente eseguito e in seguito a nuove rivolte fu, in parte, abrogato. La situazione diventò così anormale anche di fronte ai trattati e l'agitazione continuò sinché, nei primi mesi dell'anno scorso, un Comitato rivoluzionario e alcune bande armate occuparono una parte dell'isola, mentre sulle altre parti si diffondevano la insurrezione e la sommossa. I consoli delle grandi potenze furono allora autorizzati, per evitare l'effusione del sangue, a interporsi tra gli insorti e le autorità ottomane. Gli ambasciatori a Costantinopoli ottennero dalla Porta la nomina d'un governatore cristiano, il ristabilimento del patto di Halepa, la convocazione dell'assemblea cretese, una amnistia generale. L'assemblea fu convocata, i deputati cristiani formularono il programma di tutte le loro domande. Ma la perturbazione dell'isola divenne sempre più grave. Tra cristiani e musulmani si moltiplicarono le minaccie, i conflitti sanguinosi, gli esodi di intere popolazioni dai loro villaggi. La rivolta dei cristiani eccitava in Grecia il sentimento nazionale, il quale si manifestava col continuo invio di sussidi, di uomini e di armi agli insorti cretesi. Come una diversione in loro soccorso entravano bande armate in Macedonia, in quelle Provincie dove le materie infiammabili sono accumulate e dove il pericolo è tanto più grave per l'Europa quanto è più vicino. Le grandi potenze vollero allora scongiurare questo pericolo. Tra le varie proposte che furono esaminate dai governi per ottenere lo scopo di pacificazione che era loro comune, la diplomazia italiana ha veduto prevalere quella che era sempre stata conforme al suo consiglio e per cui si era sepapre adoperata. Prima di pensare ad altri mezzi pedire che da Creta partisse la favilla di un più vasto incendio, noi abbiamo sostenuto che conveniva tentare la via della pacificazione nella ricerca di un complesso di riforme e di miglioramenti efficaci, prendendo per base le domande formulate dai deputati cristiani. Fu questo il procedimento adottato, in seguito al quale l'unione degli ambasciatori a Costantinopoli ha potuto determinare per l'isola le condizioni di un nuovo regime che, sanzionato dal Sultano, fu accettato dalle popolazioni. Frattanto, o signori, il pensiero e l'opera delle potenze si volgevano a una questione generale, più vasta e meno definita, di cui i fatti di Armenia, i fatti di Candia non erano che una parte; ma che era imposta ai Governi dai loro doveri, dai loro interessi, dalla responsabilità loro verso la causa dell'umanità e della pace. Altre crisi erano venute ad agitare l'impero ottomano. A Costantinopoli, all'annuncio di un tentativo di pochi congiurati, la plebe musulmana si precipitò sulla popolazione armena innocente e le vie della capitale stessa cj.0 }- l'impero divennero il campo di stragi, a cui si credeva che il nostro secolo non dovesse più assistere. I rappresentanti delle potenze intervennero ed io posso dire che il nostro ambasciatore fedele alle istruzioni che aveva ricevute, interprete delle intenzioni del suo Governo e del suo paese, seppe compiere, con energia e con autorità, tutto il suo dovere. Tutti questi avvenimenti avevano una cagione comune; erano il prodotto di una situazione generale dell'impero ottomano di cui nessuno poteva dissimularsi il grave e l'urgente pericolo. È un soggetto di grave inquietudine per tutti il considerare che questo impero è ancora oggi uno degli elementi dell'equilibrio europeo, che non vi è oggi un'altra combinazione che possa prenderne il posto senza esporre l'Europa al repentaglio di una conflagrazione generale e il riconoscere, in pari, tempo, che in esso sono sempre più profondamente scosse quelle condizioni materiali e morali che sono necessarie alla vita degli Stati, Sulla proposta dell'Inghilterra, fu riunita a Costantinopoli una conferenza degli ambasciatori incaricata di esaminare la situazione della Turchia e di cercarvi i rimedi. I rappresentanti delle grandi potenze affrontarono questo arduo problema del miglioramento dell'Impero ottomano, con animo concorde, conscii che ogni divergenza di viste o di intenti, che ogni disaccordo avrebbe infirmato quella forza che doveva spettare alla volontà e ai mezzi di azione dell' Europa. Essi avevano compiuto il loro lavoro. Un piano organico di provvedimenti diretto ad assicurare l'esecuzione delle riforme tante volte promulgate, diretto a guarentire alle popolazioni, senza distinzione di razza o di religione, le condizioni di un migliore governo, un piano, il più formale e forse l'ultimo dei tentativi per salvare l'impero ottomano da una catastrofe, era stato presentato ai Governi perché questi vi dessero la loro sanzione. E i Governi erano stati unanimi non solo nei consigli che essi intendevano dare al governo del Saltano, ma anche nel fermo volere che questi consigli fossero accolti e posti in esecuzione. Fin qui, o signori, la nostra politica era chiaramente indicata dalle circostanze. Essa consisteva nel procedere di consenso cogli altri Governi, e, entro i limiti di questo consenso, nel dare il nostro concorso volonteroso a quelle proposte da cui ci pareva potesse uscire a favore delle popolazioni orientali la maggior somma di giustizia e di buon governo. Quest'opera fu interrotta dallo scoppio di una nuova e maggiore crisi nell'isola di Creta. Perché le speranze di pacificazione che erano state poste nelle riforme ottenute per l'isola non si sono avverate? Perché non si è forse potuto approfittare di quel primo momento in cui esse furono accolte dalle popolazioni con soddisfazione e con fiducia. Vi furono i ritardi cagionati da talune difficoltà materiali dell'impresa, la riunione delle Commissioni pei tribunali e per la gendarmeria, la necessità di provvedere alla mancanza del pubblico danaro. Vi furono i ritardi cagionati dalle tergiversazioni della Porta che furono sempre rimosse, ma fecero perdere tempo, le sorde resistenze dei musulmani, le insofferenze degli altri. Il lavoro preparatorio delle riforme procedette lento, i risultati non si videro subito. Così tra una popolazione, pei ricordi del passato, diffidente, impaziente, si ritornò di nuovo a una situazione precaria, pericolosa, a un eccitamento degli animi, rinfocolato, non dirò dal Governo di Atene, ma dall'azione dei comitati e degli agitatori venuti dalla Grecia.
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