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Nel Ventennale di Srebrenica

Immagine rielaborata del
Mausoleo di Srebrenica

Una sera di Luglio del 1995 andai ad un concerto tenuto in cattedrale a Bari. Quel giorno erano in programma i Carmina Burana di Orff. Ci andai perché non avevo mai sentito dal vivo quella musica così suggestiva, ma mi portavo appresso un forte senso di inquietudine e straniamento che mi faceva sentire quasi in colpa per il fatto di essere lì. 

Da giorni TV e giornali parlavano in prima pagina dell'assedio di Srebrenica da parte dei Serbo-Bosniaci del macellaio Mladic. La guerra in Jugoslavia durava da 3 anni senza che nessuno riuscisse a fermarla, e attorno e dentro a Sarajevo, assediata a sua volta, si erano già viste tante atrocità. Nel cuore dell'Europa, tutti assistevamo con incredulità, rabbia e senso di impotenza alla strage di tanti innocenti e non ci voleva certo acume per capire cosa sarebbe successo a Srebrenica se Mladic vi fosse entrato. C'erano i caschi blu, ma fino ad allora cosa avevano fatto nel resto della Bosnia? Praticamente niente. 
Ci si aspettava quindi che la comunità internazionale facesse qualcos'altro e di più duro nei confronti degli aggressori. 
Ma non accadeva nulla. I notiziari snocciolavano mano a mano le notizie sull'avanzare dei serbi verso la città e sulla disperazione dei suoi abitanti che non potevano fuggire. 
Del pari non riuscivo a credere che a Srebrenica, sotto gli occhi dell'ONU, sarebbe successo un massacro di inermi e innocenti. 
Ed erano questi pensieri che mi portai in cattedrale. I "Carmina Burana" iniziarono col famoso ed inquietante crescendo ed io non potei non sentirlo come il commento sonoro ad una tragedia che stava avvenendo in quegli stessi momenti poco distante da dove ero io. 
E così fu. Dal giorno dopo iniziarono, prima incerti, poi via via sempre più precisi, i resoconti di quello che era accaduto a Srebrenica, a Zepa e in tutta quell'area. Dopo una settimana già si videro le foto satellitari delle fosse comuni in cui furono gettati i cadaveri di quasi 10000 uomini e ragazzi anche di 13 anni, assassinati solo perché appartenenti ad una supposta "etnia". Gente che parlava la stessa lingua di chi l'ha uccisa e che aveva anche pagato le tasse per comprare le armi con le quali é stata sterminata. 
Da oggi ci saranno manifestazioni a Srebrenica, a Sarajevo, e per fortuna anche in Italia e in altri paesi europei, ma guai se continueremo a cercare di rimuovere il macigno di quella guerra sulla nostra coscienza affidandoci alle sole rievocazioni. Quella fu la prima volta in cui gli europei hanno abiurato ai propri principi dopo la seconda guerra mondiale, principi che erano stati riaffermati e fissati proprio per evitare un'altra immane tragedia come solo l'Europa é stata capace di fare. In Bosnia, dopo vent'anni le cose non si sono ancora 'normalizzate'. 
C'é la NATO che impedisce che si torni a sparare, ma questo deve far capire quanto quel paese sia ancora lontano da una 'normalità e che é assolutamente urgente ed importante che ci se ne occupi in tutti i sensi. 
Srebrenica fu il primo, sanguinoso fallimento dell'Europa, ed il suo ventennale cade in un momento drammatico per l'Unione Europea. Questa costruzione, messa insieme faticosamente per assicurare la sopravvivenza, la libertà ed il benessere dei suoi abitanti, sta venendo corrosa come non mai dai veleni dell'egoismo e del nazionalismo. Ma la Bosnia, che ha sempre guardato all'Europa come unica speranza di futuro, é ancora lì a ricordarci quanto ancora abbiamo da costruire e da diventare "Europa" fino in fondo, nei cuori e ben oltre la finanza e i quozienti di prodotto interno lordo.

Cosma Cafueri
Presidente del Centro Studi Hrand Nazariantz 
di Bari

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