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Primoaldo e compagni santi Martiri d'Otranto come i martiri d'Armenia: una storia ripetuta di Carlo Coppola



«Անտոնիո Պրիմոալդոն և Օտրանտոյի նահատակները, ինչպես Հայաստանի նահատակները: Կրկնվող պատմություն». Կարլո Կոպպոլայի հոդվածը



Correva l'anno era 14 agosto 1480 e dopo 27 anni dalla presa di Costantinopoli gli Ottomani che avevano preso "la madre" volevano anche "la figlia". Complici gli stessi i re Cristiani e la Serenissima per un vile pretesto di soldi, di sconti sulle tasse, in posizione anti-papale volevano essi islamizzare l'Europa, essi "bianchi eunuchi" asserviti ai padisha, come li avrebbe definiti Giosuè Carducci. 
I Turchi desideravano non desideravano forse prendere Otranto, città con la quale commerciavano e intessevano rapporti costruttivi, ma giungere a Brindisi. Il Sultano, Maometto II, cercava di rafforzare il proprio potere e se ne stava mollemente nei suoi appartamenti mentre i suoi erano "più realisti del re" o forse "più sultanisti del sultano". Essi giungono sulle sponde del Salento che fino a quel momento avevano rispettato. Gli abitanti non reagiscono in malo modo, non fuggono ancora nelle campagne come avrebbero fatto nei secoli successivi. Aspettano quelli che conoscevano come partner commerciali, anche se si meravigliano di vederli in armi e dopo poco ancor di più quando il loro comandante ordina la resa di Otranto. I cittadini non si arrendono resistono con eroismo mentre il boia musulmano affila le armi. Costoro venuti da oltre mare, prima creduti quasi amici, si danno alla razzia, al saccheggio e alla strage della città di Otranto nel nome del Profeta. Non risparmiano nessuno, uomini, donne vecchi e bambini, vanno già di scimitarra, saccheggiano e incendiano luoghi sacri compiono atti sacrileghi nelle chiese e profanano ogni cosa sacra.
Poi il comandante militare Gedik Ahmed Pasha ordina di legare i superstiti che vengono trascinati fino sul vicino colle della Minerva. Qui ne fa decapitare almeno 800.
Dopo la guerra turco-veneziana del 1463-1469 e il trattato di pace con il quale la Serenissima rinunciava al Negroponte e a diversi possedimenti in Morea, i presupposti per la stabilità politica e militare nel Mediterraneo orientale restavano molto fragili. Le divisioni in Italia e la neutralità, complice, di Venezia spinsero Maometto II a riprendere quanto prima l’attività di pirateria: messe le mani su Valona, diede il permesso, non l'ordine, al suo bellicoso sanjak-bey, Gedik Ahmed Pasha, di sbarcare ad Otranto.
Tutto era iniziato 28 luglio del 1480 - uno dei tragici 28 luglio della storia - e la città sprovvista di artiglieria resistette solo due settimane prima di capitolare l’11 agosto e di “offrirsi” al massacro dei conquistatori. L'ultimo atto fu tagliare la testa a tutti coloro che si rifiutarono di rinnegare Cristo. Erano 800 ad essere trucidati, le donne giovani, vecchie e bambine furono violate e uccise. Poi presero un gruppo di bambini e li deportarono ad Istanbul. 
L’irruzione ottomana non si fermò ad Otranto ma proseguì nelle città circostanti interessando Brindisi, Lecce e Taranto. L’eco della caduta di Otranto fu tremendo: la paura del Turco si diffuse rapidamente e i principi italiani preoccupati dal pericolo di avere il Sultano in casa, per un paio d’anni smisero di combattersi a vicenda. Venezia si trincerò in un’impassibile neutralità e talvolta approfittò anche delle razzie offrendovi non di rado appoggio logistico.