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"Rita Tekeyan artista in una perpetua green-line" di Carlo Coppola



Rita Tekeyan (Ռիթա Թէքէեան) è una cantante armeno-libanese-italiana che vive a Desenzano del Garda da alcuni anni. La sua storia musicale nasce in famiglia, portata dal padre nel coro della Chiesa Armena di Beirut, dove ha appreso molto della sua capacità di ascolto e di assimilazione dei generi musicali. 
La sua ispirazione è germinata nella ricchezza dei luoghi di provenienza e nel contrasto tra la guerra civile del Libano e l'Erdgeist che circolava in quelle terre una volta floride e poi improvvisamente martoriate dall'ingordigia e dalla cupidigia sfrenata. Poi quando si praticano Komitas e gli sharakan sin da piccoli nulla è precluso musicalmente dal pop, al folk, al jazz, al rock classico, all'hard rock, al goth rock e tutti i generi derivati di ciò che viene normalmente indicata come dark music.
Nel background di Rita Tekeyan c'è il Libano, c'è la guerra civile, e nel suo DNA il Genocidio Armeno da cui i suoi nonni provenivano, esperienze che costituiscono e segnano il bagaglio culturale degli individui anche dopo generazioni, soprattutto quelli che cercano di rispondere al dolore e al male con l'arte. Ma non è solo questo che propone la sua esperienza di cantautrice performante.
Nelle arti c'è sempre stato, infatti, qualcuno che percorso tutta la sua carriera ad elaborare i lutti, ad uscire dal male subìto, a meditare in forme maniacali di introspezione finendo così per vivere altre vite, non proprie, escludendo la propria, vivendo all'indietro o di lato da sé nel tempo e nello spazio. Poi ci sono persone, artisti, che raccontano con meticolosa sapienza, e propongono il loro sé, avendo rispetto e quindi traendo ispirazione anche dalle proprie radici passate, proclamandone l'identità, proponendo stratificazioni di suoni ed esperienze di immagini attraverso ricordi che non possono essere colti entro i limiti di un solo genere musicale. 
Nello stile creativo di Rita Tekeyan c'è proprio questo: un girotondo continuo attraverso i suoi ascolti e una altrettanto costante e varia elaborazione musicale. Ne risulta una fucina alchemica e un laboratorio di ricerche che si confronta sui modelli Art rock, Alternative Rock, IndieGlam rock - tutti padri e i figli del rock gotico - che costituiscono la parte epidermica della sua musica, quella che affiora, magari come l'abito che l'artista sente più suo, il suo genere... di conforto
Per la Luce degli Oscuri - volume poetico di Giuseppe Cartella Gelardi del 1933 commentato da Enrico Cardile - è un titolo che ci accompagna emozionalmente nel dedicare qualche pensiero a Rita.


È questo il grande problema di quando si cerca di parlare di Rita Tekeyan come di ogni altro artista sperimentale. Come far comprendere ad altri di che cosa si tratta, soprattutto a chi manca degli opportuni prerequisiti di conoscenza? È Rita una cantante rock, una cantante pop, una cantante e artista gotica? Nella sua esperienza c'è tanto di tutto: una Kreuzung der Völker, una Kreuzung der Gattungen. Per questo siamo costretti a confessare che ci lascia spiazzati e ci porta più di una difficoltà di categorizzazione.
Solo deponendo il ruolo di critici massimalisti, di pedanti e di grammatici si può cercare di comprendere, e allora ammettiamo che per ascoltare Rita Tekeyan si debbano dismettere i ruoli e occorra dimenticarsi di tutte le tassonomie. L'unica parola adeguata potrebbe averla l'antropologo culturale: un po' artista, un po' critico, un po' ascoltatore, un po' osservatore dei fenomeni, uno che guarda senza giudicare, ma per amore dell'ascolto, della lettura, dello sguardo dell'altro. Per dire di lei bisogna mettere in moto una complessa operazione di de-pensamento, come avrebbe fatto Carmelo Bene, accostarsi e ascoltare, ricordandosi cosa si sa ma dimenticandosi cosa si è.
Per chi è costretto a perdere tempo passando la vita a dimostrare di non ignorare, perché continuamente giudicato e incalzato da paludati e tronfi accademici falliti - chiunque legga potrà comprendere i nomi di questi geni della censura, del gulag e del ricatto morale (ahimè miserabili) - questo gioco critico è duro ma non impossibile. Si potrebbe citare tutto il canone liturgico musicale della chiesa armena o l'intero Երգագիրք di Komitas, per corroborare l'inserimento di Rita Tekeyan in una tradizione, ma gli inquisitori, i Torquemada, della domenica e del martedì grasso della cultura - che hanno frequentato al massimo qualche vecchio prete bacchettone - qualche vecchia beghina, non sarebbero contenti del risultato e ne sparlerebbero nei loro circoletti di stonati tra megere impellicciate, ove si innalzano al massimo feroci canti di colonizzazione come "Oci ciornie" e si sputa su tutto ciò che passa sotto la linea del Rubicone.
Rita Tekeyan diventa, quindi, un'icona di libertà di scelta, di libertà di creazione, di libertà di espressione. La seguiamo da anni ormai, dal suo Manifesto Anti-War ‎del 2015 anno del Centenario del Genocidio Armeno, ma abbiamo preferito non scriverne non avendo il coraggio di proferir parola, frenati su tutto da quelli stessi censori. Ora, però, dopo l'ascolto dei brani suo album del 2021 Green Line si impone un pensiero, per non far finta di essere più snob degli snob che contestiamo. 
I ricordi si affastellano nella mente, ma Rita da Beirut ne trae una linea, verde, con grande maturità, ne fa passione che è metabolizzazione,  riflessione limpida, in cui le nebbie sono dipanate, non c'è mancanza di luce ma la scelta, forse solo formale, dell'assenza di colore. 
Questa è autentica coscienza, la coscienza di scegliere cosa raccontare e come mostrarsi, di conoscere tutti i valori estetici ma scegliere quelli di preferenza; decidere di essere Rita Tekeyan, accettando in modo compiuto e costante di fare i conti con quello "yan" armeno che può essere lì per caso o che comporta la consapevolezza di un peso. Sono quelle tre lettere foriere di tante domande e altrettante risposte in una immensità di Amore e profondità di dolore, nell'avvertimento  che ciò possa rischiare anche di sormontarci, se non polverizzarci, o innalzarci verso vette infinite. 
L'etichetta discografica Seahorse Recordings  propone con Green Line un percorso di 12 brani che sono la storie di sentimenti, memorie in proiezione, prospettive aperte alla bellezza, ai simboli cari al vissuto dell'artista, alle alchimie provate sulla propria pelle che ne dischiudono gli alti significati presenti all'interno della propria carne, adespoti nel tempo e nello spazio. 
A giustapporre il lavoro compiuto da Rita con Green-line è il produttore artistico, polistrumentista,  e curatore di tutte le fasi di realizzazione dell'album, Paolo Messere, della Seahorse Recordings, che ha saputo offrire all'ascoltatore un contesto unificante, dosandone gli accenti, attribuendo un valore universale alle composizioni che superano i contesti e le contingenze dei paesaggi sonori, traghettando idealmente le ubbie suadenti e grigiotope in ambienze assolate, avendo la capacità di proiettarvi all'interno una sovraesposta luce ipnotica che tutto avvolge e tutto completa.


le foto sono di Nikita Nikita Photos

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