Un volume per ricordare Luciano Landi editore scomodo e amico degli Armeni
di Carlo Coppola
Luciano Landi è stato un editore scomodo, fuori dai circuiti accademici ma con molti amici importanti e al centro di una cultura italiana spesso minoritaria, che per tante e complesse ragioni non ricevette tutta la luce che meritava.
Luciano Landi è stato un editore scomodo, fuori dai circuiti accademici ma con molti amici importanti e al centro di una cultura italiana spesso minoritaria, che per tante e complesse ragioni non ricevette tutta la luce che meritava.
Personalmente una delle ragioni per cui avevo scelto, due anni fa, la Toscana, quale regione di trasferta per l'insegnamento, era stata quella di poter meglio indagare le "strane" motivazioni che avevano portato il mio maestro Hrand Nazariantz a pubblicare il suo ultimo e poco noto volume Il ritorno dei Poeti proprio a Firenze.
Per caso mi contattò la dott.ssa Piersigilli cercando notizie sul nostro poeta, sembrava un incontro di destini di ricerca. Lei partiva dal Landi, io dal Nazariantz. Più ci confrontavamo, sui tanti argomenti ed aspetti delle due produzioni letterarie, più crescevano i dubbi, le controproposte, e si aprivano talvolta involontari fronti di indagine, come davanti un gioco di scatole cinesi.
Così dopo un po' di silenzio qualche giorno fa, a sorpresa, mi giunge un pacco dalla Toscana - sono tornato a Bari ormai da sette mesi - lo apro e dalla copertina di un bel volume scorgo l'Ungaretti, strabico, che mi guarda seduto ad un Convivio, come a dirmi "Cosa ci fai ancora lì, vieni a manducar con noi!". Stanno seduti al banchetto del Premio Viareggio ma sembra stiano sull'aia al pranzo della domenica, con tanto di fiasco di vino a centro e figurette pasoliniane di contorno. Al lato della foto un ragazzo smilzo - o a me così pare - inforca un paio di occhiali, giacca e camicia bianca senza cravatta, a fianco una ragazza bruna, lo guarda ammirata. Il ragazzo non l'ho mai visto, e non avrei mai detto fosse l'editore Kursaal, uno di quelli operatori di Cultura a cui dobbiamo una straordinaria stagione della nostra storia letteraria recente. Ebbene no, è proprio lui Luciano Landi, me lo sarei immaginato un pezzo d'uomo tale da gareggiare in statura con il gigante Nazariantz. Lo guardo e mi sovviene un senso di gratitudine per lui, di quelli che si devono ai grandi, agli sfortunati ma monumentali, di cui ci fece esempio l'insuperato Poggio (Bracciolini), uno di quelli le cui gesta mi hanno spinto e mi continuano a spronare alla ricerca d'ambito storico-letterario.
Sfoglio il volume elegante e compìto, mi piace l'odore, il progetto grafico, la consistenza della carta e la dedica dell'autrice, tanto più preziosa perché posta in bigliettino racchiuso in bustina color cremisi, delicatissima, nelle prime pagine del volume - io stesso l'avrei più volgarmente spiattellata, spaparanzandola, lì sul colofone.
Così sfoglio prima tutto il libro, poi leggo tutto d'un fiato. È la seconda sera delle mie nozze, mia moglie e il mio bambino dormono e io nello studio leggo e sfoglio. L'apparato critico è intelligente, snello, niente affatto lezioso, rigoroso ma non pedante. Sarebbe stato facile farne un esercizio accademico, con capriole e salti mortali e prose involute, ma tutto procede come un racconto che non annoia e, invece, appassiona.
Poi giungo alla fotografia del mio Maestro e allora una lacrima di commozione.
Chiudo il volume e scrivo ad una figlia del prof. Tommaso Fiore - signora Teta, cara prozia di due miei amici - per segnalarle l'esistenza del testo e la pubblicazione dell'epistolario intercorso fra il padre e Luciano Landi. È ormai giorno e telefono alla dott.ssa Piersigilli per ringraziarla del dono indirizzato al Centro Studi Hrand Nazariantz e complimentarmi, commentando e confrontando le ultime novità delle comuni ricerche.
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