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Leopardi senza Leopardismi o Martone senza Martonismi ? Un Giovane Favoloso di Carlo Coppola

Mario Martone dirige gli attori sul set del "Giovane Favoloso"


Da anni pensando a Leopardi mi vado convincendo che la maniera migliore per rappresentare il sentimento poetico di un poeta nobile come lui stia nella visione utilizzata da Samuel Beckett nel Suo "Film" per la regia di Alan Schneider. In particolare mi riferisco al momento in cui Buster Keaton si dibatte e abita la sua stanza che assume percezioni altre dalla realtà effettuale attraverso le scomposizione della linea prospettica delle pareti il loro smaterializzarsi e ricombinarsi in un sussulti e spasmi. Quello e solo quello è per me l'Infinito. Eppure, a bene guardare, quello sarebbe stato un leopardismo, ovvero una sovrastruttura posticcia, nell'immaginario e nella volontà di realizzazione applicata al poeta di Recanati attraverso i luoghi comuni applicati alle sue opere.
Allo stesso modo il grande Mario Martone riesce a superare tutte le trappole e i topoi, che riguardano il Leopardi per restare fedele alla storia utilizzando con un mix perfetto, in un linguaggio sostanzialmente originale, le proprie fasi creative più proficue, da "Noi Credevamo", in dientro a "Morte di un matematico Napoletano", a "L'amore molesto" e forse anche al "L'odore del sangue", il film che - piaccia o no - ne segna l'inizio della maturità e consolidamento dei linguaggi.   
Martone realizza un Leopardi suo, un Leopardi martoriano, fatto di istanze a lungo meditate che passano per Anna Maria Ortese, inevitabilmente per la poetica di Viani, e di Moscato, per la pratica teatrale di Antonio Neiwiller, forse anche per qualche "ruccellagione" evocata dalla presenza di Arturo Cirillo che con Leopardi si scontra nel Caffè a Piazza Plebiscito. 

Copertina del volume "Il giovane favoloso: La vita di Giacomo Leopardi",
contenente la sceneggiatura del film opera di Mario Martone e Ippolita di Majo.
Il corredo fotografico del volume è opera di Mario Spada.

La squadra messa in campo a più di vent'anni di distanza è molto simile a quella che segnò il trionfo di Renato Caccioppoli, che per molti versi assomiglia ed è padre di questo Leopardi. Manca la consumata esperienza di Carlo Cecchi ma è l'inizio di una promettente carriera per Elio Germano, che esprime finalmente un talento ampio ed una più che buona tecnica di recitazione, elevandosi inoltre a fine dicitore di versi e ottimo interprete della musicalità leopardiana, forse anche grazie al suo lavoro di rapper conosciuto nel panorama italiano, apprezzato membro del gruppo romano Bestierare. Martone evoca il don Simplicio di Antonio Neiwiller utilizzando come preti altri due monumentali esponenti della ricerca teatrale, Sandro Lombardi, nei panni di padre Vincenzo Diotallevi precettore di casa Leopardi ed Enzo Moscato, già citato, sacerdote che introduce la processione anti-colera. Queste due figure introducono al rapporto tra sacerdozio laico, quello delle lettere e sacerdozio religioso. Attraverso questi Leopardi si forma, come uomo e come intellettuale e da entrambi si discosta, più o meno violentemente, come eterno rifiutato vittima di quelle illusioni che evolvono in struggenti delusioni nel pensiero dell'età matura. Tutte le citazioni colte e meno colte, come quella sottilissima del nome di Maria Giuseppina Guacci, patriota, poetessa Sebezia, e moglie del primo vero direttore dell'Osservatorio Astronomico di Capodimonte, sono solo il sintomo di altre erudite evocazioni che vivificano la temperie cultura entro cui il recanatesi si mosse durante tutta la sua esistenza. Le polemiche con i grammatici e i censori dell'epoca sono, invece, più rappresentate in modo più esplicito come ci ricordano le rappresentazioni di personaggi quali Pietro Colletta, Giovan Pietro Viesseux (che fortunatamente ricordiamo solo per il suo Gabinetto) e Giovan Battista Niccolini. Altro spazio viene dato al personaggio di Gino Capponi interpretato da Andrea Renzi, che da giovanissimo fu fra i più vicini compagni d'arte di Martone e al quale è dedicato un intensissimo primo piano che simboleggia, per quanto grammaticalmente eterodosso, affetto e l'amicizia pluriventennale. Leopardi qui è quello colui che ad impronta traduce Menandro "Muor giovane colui ch'al cielo è caro", ma per fortuna non è il ragazzo col complesso di Edipo come è stato dipinto da altri critici. La madre donna Adelaide Antici scostante, severamente religiosa compunta di religiosa grazia è algida come sola può essere apparire una delle più importanti danzatrici italiane dei nostri tempi. Raffaella Giordano, in uno dei ruoli che sarebbero calzati perfettamente addosso alla grande Pina Bausch, esprime tutto il fascino austero. Il padre il conte Monaldo Leopardi è un superbo Massimo Popolizio, in una forma stupenda. Attore già acclamato quale super-ronconiano, ora sdoganato il ronconismo e dismessi i panni di più bravo giovane attore del teatro italiano, vive finalmente di luce propria una carriera anche nel cinema iniziata troppo lentamente rispetto all'immenso talento! Dal punto di vista attoriale l'unica stonatura ruota intorno al personaggio di Anna Mouglalis e al suo doppiaggio che sembra non rappresentare il carattere imperioso e il fascino sublime di Fanny Targioni Tozzetti, oltre a proporre epidermico fastidio rispetto all'armonia generale tra gli equilibri in campo.
La direzione della fotografia affidata allo svizzero Renato Berta già direttore della fotografia di "Noi Credevamo", oltre che di indiscussi e straordinari maestri del cinema europeo come Manoel de Oliveira, Louis Malle, Alain Resnais, Huillet e Straub, Éric Rohmer, Claude Chabrol, Robert Guédiguian. La luce cambia a seconda del paesaggio dell'anima del poeta. Recanati, Firenze, Roma e Napoli, con i set molti dei quali ricostruiti in studio, rendono dichiarano e definitivo il mutamento dei percorsi di vita di Leopardi, intimo, frivolo, un po' mondano, notturno e quasi noir, sovraesposto o sottoesposto, a seconda dei casi, agli eventi della vita mai pallidamente chiaroscurale come ci si aspetterebbe dalla prammatica dell'iconografia leopardiana, la cui ricerca certamente è stata curata dalla co-sceneggiatrice Ippolita di Majo, storica dell'arte, moglie e musa del maestro Martone.

Una pagina del volume Il giovane favoloso: La vita di Giacomo Leopardi,
contenente la sceneggiatura del film opera di Mario Martone e Ippolita di Majo.
Corredo fotografico del volume è opera di Mario Spada.




Il suo straordinario bagaglio culturale si esalta non più soltanto nella ricerca iconografica come nel precedente film del marito, ma la consacra a protagonista della scrittura cinematografica a tutti gli effetti. I costumi sono affidati alla pluriconsacrata Urzula Patzak, protagonista con i suoi costumi di tutte le opere del maestro Martone negli ultimi anni a cinema e teatro. 
Anche per lei come i responsabili di tutti i settori tecnico/artistici di quest'opera d'arte si conferma il quadruplice lavoro, a seconda degli ambienti. Leopardi nei momenti in cui abbandonava la melanconia, da lui vista come la noia, quale sentimento dei forti, amava vestire alla moda come dimostra il singolare episodio in cui si reca dal sarto, interpretato dal vivacissimo Roberto De Francesco, a ritirare un abito nuovo. 
Il racconto per immagini ha goduto dell'opera di montaggio di Jacopo Quadri che lavorando con Mario Martone, ha sempre realizzato lavori di indiscussa qualità tecnica e artistica sin da "Morte di un matematico napoletano". 
Le musiche scelte dal maestro napoletano, sono infine degne della più nobile arte della Kreuzung der Gattungen. Martone che tante volte ha colpito il pubblico per il suo eclettismo nel gusto e nelle scelte musicali - indimenticabile risulta l'accostamento dei Tuxedomoon di "In a Manner of Speaking" alla Tarantella del Gargano di Daniele Sepe - qui affida a Sacha Ring più noto come Apparat, musicista elettronico, le evocazioni dei pensieri e dei versi leopardiani, frammisti di sovrumani silenzi. 
Infine ottima proposta di lettura per chi ama Leopardi, o solo per chi volesse imparare cos'è una scrittura filmica, è quella del volume "Il giovane favoloso: La vita di Giacomo Leopardi" testo della sceneggiatura con di Mario Martone e Ippolita di Majo. Il testo è pubblicato dalla casa editrice Mondadori Electa, la terza di livello nazionale con che si occupa di pubblicare opere del regista, dopo Ubulibri, e Bompiani. L'opera è inframmezzata dalle splendide fotografie di scena di Mario Spada fotografo d'inchiesta prima che di di scena, il cui occhio indagatore si trova sempre a suo agio sui set. In appendice troviamo un'ampia scheda filmica e una breve antologia leopardiana con le pagine da cui sono state tratte le più efficaci citazioni del film.

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