"Il Sangue dell'Europa". Riflessioni sulla situazione politica
Il sangue d'Europa.
Il 21 febbraio del 1950 usciva, postuma, la raccolta di articoli di GiaimePintor intitolata "Il sangue d'Europa". Il libro prendeva il titolo dallo
scritto più significativo del patriota italiano che, morto dilaniato da una
mina tedesca mentre cercava di raggiungere un gruppo partigiano, aveva
attraversato e meditato trasversalmente le cause soprattutto culturali della
più grande tragedia che l'Europa, e da qui il mondo, vivevano mentre lui era
vivo.
L'Europa com'è ora, ci piaccia o meno, è nata dal più grande massacro che la
storia dell'umanità ricordi: 70 milioni di morti e sofferenze e atrocità
impossibili da narrare compiutamente.
E questo immane disastro aveva preso le mosse dai nazionalismi, a loro volta
suscitati a catena da altri nazionalismi in un'Europa incapace di rifarsi alla
sua profonda 'cultura comune', che pure per secoli ha intrecciato profondamente
i destini di tutti i popoli che la componevano.
E fu da quel generale e
fondamentale'pensarsi senza gli altri' che scaturì la catastrofe.
Le parole di Pintor, scritte nel momento più acuto di quell'epoca tragica,
furono e sono un monito lucido quanto fermo a chi sarebbe venuto 'dopo', dopo
la fine di quella guerra. Un monito all'Italia e alle altre nazioni d'Europa,
ai loro intellettuali e classi dirigenti futuri proprio a 'ripensarsi' come
"Europa" e a non risolvere le proprie contraddizioni nello spargimento finale
del suo stesso sangue.
Dopo 70 anni, un'Europa migliore e più consapevole di sé è stata costruita, e
questo è innegabile anche dai suoi detrattori. E' un'Europa che ha superato la
guerra fredda e che nel contempo ha saputo costruire, sotto garanzie altrui, un
modello di società e di esistenza che non ha eguali al mondo pur con tutti i
suoi difetti generali e locali.
Ma molto deve essere ancora fatto, e lo sappiamo tutti noi che abbiamo visto
negli ultimi anni un continente che, sotto i colpi di una crisi economica
sicuramente grave, ha però presto derubricato le ragioni più profonde della sua
condizione e del suo percorso verso la progressiva unificazione riducendole a
istanze e parametri economici, riaprendo così il pericolo di rischi culturali
e politici che fanno capo proprio a quel 'pensarsi da soli' contro il quale
ammoniva Giaime Pintor.
Il 21 febbraio 1950 usciva 'Il sangue d'Europa', ed il 21 febbraio 2014, a
Kiev scorreva il primo sangue per l'Europa. Per questa Europa, per la nostra
Europa che noi qui tanto continuiamo ad esecrare come una sciagura. A Kiev ci
sono stati 82 morti e più di 600 feriti sotto le bandiere cielostellate che
fino a quel giorno non sono state altro che un simbolo quasi solo burocratico e
che fino ad ora mai avevano sventolato in una battaglia, in una guerra, per
rivendicare un'appartenenza alla patria delle nostre patrie.
Possiamo dimenticare queste persone, uomini e donne, questi europei, morti per
un ideale che noi non sappiamo più riproporre, sentire, riarticolare nelle
nostre speranze e nelle nostre vite? Possiamo non avvertire come 'nostri'
questi 82 morti ucraini, i primi 'caduti' per la causa europea?
Non ricapitoliamo qui i fatti politici che hanno portato alla strage di Kiev
con tutti i distinguo del caso. A noi interessa rimarcare come nonostante il
suo torpore e la sua crisi identitaria l'Europa resta un sogno ed uno scopo per
tutti gli europei che...non ne fanno parte. L'Europa che 'non é ancora Europa'
é quasi tutta quella che è all'est dell'Unione: da quella balcanica,
colpevolmente ed assurdamente lasciata naufragare 20 anni fa anch'essa in un
bagno di sangue nel cuore del nostro continente, a quella ex sovietica, come
l'Ucraina, la Bielorussia (abbandonata all'ultima dittatura su suolo europeo),
la Moldavia, che non vengono aiutate se non timidamente a rientrare nel
contesto dell'Unione. Per convenienze, connivenze, cinismi, burocrazia e noi
diciamo anche 'ignoranza'.
L'Unione Europea è in crisi perché ha trascurato da anni le ragioni fondanti
della sua attuale identità, che prima che economiche sono culturali e ben più
forti di quanto oggi si pensi.
A dispetto di quello che comunemente si crede, sono quelle le basi del suo
status economico, perché ne definiscono e ne delimitano l'ambito esistenziale
ed ideale. Smarrita via via questa consapevolezza, incarnata dalla politica
fino agli anni '80, l'animale 'mercato' ha informato di sé il processo di
costruzione dell'Europa, rendendola sempre meno significativa sul piano
politico internazionale e straordinariamente poco coesa al suo interno.
Ciononostante, il processo 'gravitazionale' dell'Europa continua e continuerà,
e guai a non saperlo governare come purtroppo sembrano dimostrare i fatti di
Kiev.
Quella europea é una 'questione' che dobbiamo riproporre a noi stessi in
termini nuovi e consapevoli.
Quello che é successo in Ucraina ci dice che
la 'questione Europa' si giocherà proprio nel rapporto con il Est,
sanando attivamente i problemi balcanici, che ribollono ancora sotto il
calderone e chiarendo quelli dell'ex blocco sovietico, anche attraverso una
revisione costruttiva dei rapporti con la Russia (che pure è Europa).
Se l'Europa continua a guardare solo al proprio 'pil' e al proprio export come
unici parametri di sviluppo prima o poi potrebbe pagare caro in termini di
disgregazione, cosa tutt'altro che improbabile se non si investe in nuove
azioni di cittadinanza e di appartenenza.
Dobbiamo riscoprirla, la nostra attuale identità europea. Che piaccia o no,
siamo un modello, una speranza, pur con tutti i nostri problemi e le nostre
contraddizioni. Lo dobbiamo alla memoria dei morti di Kiev, di una periferia
d'Europa che da oggi é diventata struggemente centro.
SUO
E dobbiamo farlo per
milioni di altri europei che non desiderano semplicemente vivere secondo i
nostri standards economici quanto di vivere con gli stessi diritti e la stessa
libertà di cui noi godiamo e di cui non sembriamo più essere degni.
Cosma Cafueri
presidente Centro Studi Hrand Nazariantz
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