25 anni dal tremendo terremoto in Armenia. Un ricordo
Si mostrano le immagini di bambini tra le macerie che cercano la mamma, una bambola o il ciuccio, guardare le facce stravolte ripiegandosi al dolore di un nuovo genocidio, meno sistematico, meno truculento. Non c'erano donne sventrate o uomini col capo mozzato. Ma solo macerie e sguardi assenti in un paese, allora Sovietico che non conosceva l'idea della Protezione Civile, del controllo geomorfologico del territorio, anche peggio del terremoto dell'Irpinia del 23 novembre del 1980 !!! Il tempo passa ma il dolore resta, per quello che si poteva fare e non è fatto per prevenire una catastrofe mondiale.
Allora si mobilitarono gli artisti, cantanti guidati da Charles Aznavour, che completava il proprio percorso di riappropriazione identitaria e promosse raccolte di fondi e canti in più lingue della medesima canzone dal titolo Per te Armenia. In Italia molti cantanti e musicisti aderirono all'iniziativa tra questi Tullio De Piscopo, Sergio Endrigo, Pierangelo Bertoli, Gino Paoli, Christian, Sandro Giacobbe, Mino Raitano, Ricky Gianco, Tony Dallara, Memo Remigi, Scialpi, Mia Martini, Milva, Nilla Pizzi, Iva Zanicchi, Gigliola Cinquetti, Mietta, Gilda Giuliani, Orietta Berti, Lorella Cuccarini solo per citarne alcuni.
Tra le prime a mobilitarsi Maria Pia Fanfani, grande madrina di innumerevoli iniziative umanitarie.
Erano le 11.41 di mattina. L’epicentro del Terremoto, del grado 6,9 della scala Richter, era collocato a 40 chilometri a nord-est della città di Leninake, anche l'orario era quello migliore per le grandi stragi, sembrava un attentato di proporzioni bibliche, fattorie e scuole sono piene. La scossa principale fu lunghissima, durò circa un minuto, quattro minuti più tardi, un'altra solo in apparenza meno distruttrice che inferse il colpo di grazia agli edifici di magnitudo 5,8. In un raggio di 45 Km dall’epicentro, tutti gli edifici con più di due piani spariscono, seppellendo sotto le macerie chi si trova all’interno, la maggior parte della popolazione passò dalla vita alla morta all'istante, schiacciata da tonnellata di cemento, legno vetro, travolta da suppellettili e casa, che si rivelarono in pochi istanti non meno feroci delle scimitarre ottomane. L'emergenza
umanitaria fu subito chiara, gli ospedali non riuscivano a fronteggiare
le ondate di feriti, e 15.000 persone morirono di infezioni a causa
delle insufficienti provviste di medicine. Le conseguenze del sisma
furono quindi terribili quando il sisma stesso. Tutto giocò a sfavore
della popolazione: il rigido inverno e la temperatura, l'ora di punta,
le condizioni geomorfologiche, le strade ancora inadeguate ai soccorsi
immediati, i fabbricati spesso inadeguati che travolsero e uccisero
anche l'80 percento del personale sanitario. Chi poteva prestare
soccorso? Alla fine le vittime accertate furono ben 28.854, anche se in
questi conteggi ebbe ancora una forte influenza la censura sovietica e
lo zelo al nascondismo dei funzionari. Attualmente stime più realistiche
della comunità internazionale parlano di bene numeri superiori ai
50.000 morti.
Per ricordare il terremo del 7 dicembre 1988, anche noto come Terremoto
di Gymri, abbiamo scelto una poesia di Yeghishe Charents
(Եղիշե Չարենց), ben nota a tutti coloro che amano l'Armenia e che più
volte l'anno ormai si ritrovano a considerarne le tristi sorti. E' una
poesia scritta nel (1920) che contiene in sé il dolore e la speranza e
che riproponiamo tra le altre nella traduzione del prof. Mario Verdone,
grande amico del popolo Armeno.
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