Hrand Nazariantz: storia di un uomo straordinario vissuto a Bari di Carlo Coppola
Spesso, leggendo o ascoltando notizie e vicende di cronaca giudiziaria, si sente nominare via Nazariantz, ove ha sede il Palazzo di giustizia di Bari. Ma credo che davvero pochi baresi sappiano chi sia il personaggio al quale è stata intitolata quella strada dal cognome un po’ difficile da pronunciare.
Hrand Nazariantz fu un celebre poeta armeno che morì esule nella nostra città nel 1962. Proverò a delineare un profilo biografico.
Era nato l’8 gennaio del 1886 ad Uskudar, nei pressi di Istanbul, da una famiglia benestante affermata nella produzione di tappeti e merletti. Nella capitale turca frequentò il collegio Bérbérian, si recò poi nel 1902 a Londra per completare gli studi superiori e quindi, nel 1905, a Parigi, dove si iscrisse alla Sorbona. Purtroppo le cattive condizioni di salute del padre lo costrinsero a rientrare nel 1907 in Turchia, per poter assumere la direzione dell’industria di famiglia. A tale impegno di lavoro iniziò ad affiancare una intensa attività pubblicistica e letteraria. Nel 1908 collaborava alla fondazione e alla direzione del quotidiano Surhantag (Corriere); nel 1909 dava vita, in collaborazione con Karekin Gozikian, uno dei principali esponenti del Partito socialdemocratico armeno, al settimanale politico-letterario Nor Hosank (Nuova corrente) e fondò, con il romanziere Rupen Zartarian e con il drammaturgo Leon Serpossian, la rivista d’arte e di polemica Baguine (Tempio). Dal 1911 iniziò ad intrattenere rapporti epistolari con Marinetti, Lucini, Altomare e si impegnò, con saggi e traduzioni in lingua armena, a far conoscere la loro opera poetica assieme a quella di Govoni e Cardile, nel progetto di una più ampia opera di diffusione della conoscenza della letteratura italiana. Nel 1912 uscì a Istanbul l’importante saggio su Marinetti e il futurismo. Nello stesso anno pubblicava una serie di raccolte poetiche che lo imponevano come una figura di punta del simbolismo nella poesia armena (I sogni crocefissi; Le solitudini stellate; Vahakn; Lo specchio). A tali opere fecero seguito, nel 1913, Aurora, anima di bellezza, Gloria victis, La corona di spine e Il grande cantico della cosmica tragedia, che può essere considerato il suo capolavoro. In questi anni Nazariantz fu impegnato ad ottenere il sostegno degli intellettuali europei alla causa armena trovando in Italia diversi fiancheggiatori. Condannato a morte in contumacia da un tribunale ottomano nel 1913, trovò rifugio nel Consolato italiano, sposò la ballerina di Casamassima (Ba) Maddalena De Cosmis, quindi fuggì esule a Bari. Giunto nel nostro Paese strinse legami sia con esponenti della diaspora armena che con protagonisti della cultura italiana, francese ed inglese, recandosi anche all’estero per motivi di studio. Particolarmente intenso il rapporto di amicizia con G.P. Lucini e E. Cardile. Nel 1915 collaborava alla rivista bolognese Il Ritmo e le edizioni Laterza pubblicarono, come primo volume della collana “Conoscenza ideale dell’Armenia”, il suo saggio sul poeta armeno Bedros Turian.
Dopo aver pubblicato presso la casa editrice Humanitas di Piero Delfino Pesce la traduzione italiana curata da Cardile dei I sogni crocefissi (1916), la raccolta Vahakn ed il poemetto dialogato Lo specchio (1920) visse un periodo difficile, perdendo, dopo sette anni, il posto di insegnante di inglese a causa delle leggi fasciste che impedivano agli stranieri di insegnare nelle scuole statali.
Collaborò a La Tempra di Renato Fondi, con la quale instaurerà un assiduo e duraturo rapporto. In seguito Nazariantz entrò in contatto con alcune riviste d’avanguardia siciliane che ospitano suoi contributi: La Scalata(1917), La Vampa Letteraria (1917) e La Spirale, dove nel 1919 è pubblicato un brano del poema Lo Specchio.
Intanto a Bari strinse amicizia con Franco Casavola e si impegnò a promuoverne la produzione musicale. I due collaborarono ad organizzare, con l’aiuto di Giuseppe Laterza, Giacomo Favia, Tina Suglia e altri, la serata futurista al teatro Piccinni di Bari, del 26 settembre 1922. Pochi mesi dopo, il 2 gennaio 1923, il programma della serata futurista al teatro Margherita di Bari incluse l’“azione mimico-drammatica” Lo Specchio, con musiche di Casavola ispirate al poema di Nazariantz. Nel 1924 la casa editrice Alpes di Milano pubblicò, nella traduzione di Cesare Giardini, che figurava anche come curatore, la raccolta Tre poemicomprendente Il Paradiso delle Ombre, Aurora, anima di bellezza e Nazyade, fiore di Saadi. Si impegnò a sostenere la causa armena e a lui si deve la fondazione nel 1924 a Bari del villaggio per esuli “Nor Arax”, che si manterrà con la produzione di tappeti e merletti.
Dopo il 1943 collaborò a Radio libera Bari tenendo delle conversazioni letterarie, fondò la rivista Graal sulla quale comparvero scritti di Ungaretti e Ada Negri. Nel 1946 veniva pubblicata la traduzione italiana de Il gran canto della cosmica tragedia. Nel 1951 dava alle stampe il Manifesto Graalico nel quale affidava al primato dell’arte assoluta la soluzione del rapporto intellettuale-società. Nel 1952 pubblicò la sua ultima silloge di liriche: Il ritorno dei poeti.
Le ristrettezze economiche ricominciarono e lo accompagnarono fino alla morte pur sfiorando il Nobel per la letteratura nel 1953 con il poema Il grande canto della cosmica tragedia. Alla fine degli anni Cinquanta fu ricoverato in un ospizio a Conversano, vivendo circondato dall’affetto e dalla stima di alcuni giovani amici.
In una pagina lo scrittore barese Vito Maurogiovanni racconta: «Hrand Nazariantz visse a lungo, sempre povero e ospite di amici, ora in questa ora in quell’altra casa, addirittura in famiglie della provincia di Bari. Gli regalò un cappotto il commissario della Dogana Vittorio Laurora, un metro e novanta, voce tonante, un gran viso tagliato con l’accetta, valdese per il suo profondo impegno per gli ultimi della terra. Il poeta armeno Hrand Nazariantz, eternamente povero sino alla fine dei suoi giorni, meritava dunque la sua attenzione e i suoi cappotti. A tarda età, il poeta accettò di diventare cittadino italiano. Ci fu una breve cerimonia in Prefettura. Nazariantz così parlò a Sua Eccellenza il Prefetto del tempo: “Signor Prefetto, io sono grato all’Italia per l’onore che mi ha fatto, ma sono anche triste perché, in un giorno come questo, debbo constatare - e lo faccio con molta umiltà - non ho in tasca il becco di un quattrino. Per questo sono il più povero dei cittadini italiani. Dobbiamo perciò brindare ad acqua”.»
Morì a Bari nel 1962 nel più grande silenzio e nella nostra città è sepolto. A Conversano lasciò invece tutto quelle poche cose che possedeva: libri, manoscritti, epistolario. Anni dopo l’amministrazione comunale di Bari ha voluto onorare la memoria di questo grande uomo e poeta con l’intitolazione di una strada. Nel venticinquesimo della morte Pasquale Sorrenti, che gli fu amico intimo, pubblicò il saggio intitolato “Nazariantz” (Levante Editori, 1987) preziosa testimonianza, anche attraverso le persone che a Bari lo conobbero e lo stimarono, della vita e delle opere del grande Armeno purtroppo dimenticato. Con grande rammarico ho constatato, consultando i cataloghi elettronici, che né la Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti Volpi, né il sistema bibliotecario dell’Università degli studi di Bari possiedono una copia di una qualche opera di Nazariantz.
Per concludere voglio riportare ancora un passo significativo e toccante sempre di Maurogiovanni: «Una sera, parlando di Nazariantz alla libreria Palomar, leggemmo un pezzo di Pasquale Sorrenti nel quale era annotato che “…parlando con l’armeno Diran Timurian, uno del villaggio che si era fatto strada nella vita, ho saputo che le spoglie di Hrand non furono gettate nella fossa comune ma stanno in una tomba conosciuta dal Timurian. Ora Timurian è morto…” Quella sera, nella libreria c’era Rupen Timurian, il figlio di Diran. Si alzò, gli occhi pieni di lacrime, la voce gli mancava; riuscì a dire che Hrand Nazariantz era stato accolto nella loro cappella familiare. »
Hrand Nazariantz, poeta cosmico, fu indubbiamente un uomo di frontiera esule in una terra di frontiera e di accoglienza come la Puglia. La sua ricerca poetica si muove lungo linee teoretiche assai complesse: partendo dal simbolismo francese di tipo ermetico, rosacrociano ed occultistico egli tentò di operare una sintesi e una mediazione verso particolari forme di idealismo. Auspicava una rinascita palingenetica dell’uomo capace di guardare dentro ma anche oltre la realtà, fino agli orizzonti irrazionali dell’utopia.
Il poeta siciliano Cardile, scrisse di lui: «Nazariantz è un Uomo di un’energia inesauribile, di una costanza eccezionale, di un entusiasmo portentoso, affascinante nella sua modestia risoluta. Il suo entusiasmo riesce comunicativo, la sua passione diventa epidemica, se lo conoscete lo amerete, se lo amate vi sentite disposto a dividerne i rischi e a dedicarvi alla sua Causa» (ossia quella dell’Armenia libera). Daniel Varoujan, grande poeta armeno, così scriveva del connazionale: «Nazariantz ha composto poemi che possono eguagliare nel loro splendore profondo quelli di Stephane Mallarmé, poeta francese. La sua anima ha infatti un’eccezionale affinità con l’anima del principe dei poeti. Anima sempre tesa verso un’ebbrezza sconosciuta e indefinita che si può appena percepire attraverso l’umana aspirazione. Le sue immagini sono di una profondità suggestiva. Nazariantz è un poeta luminoso».
Hrand Nazariantz fu un celebre poeta armeno che morì esule nella nostra città nel 1962. Proverò a delineare un profilo biografico.
Era nato l’8 gennaio del 1886 ad Uskudar, nei pressi di Istanbul, da una famiglia benestante affermata nella produzione di tappeti e merletti. Nella capitale turca frequentò il collegio Bérbérian, si recò poi nel 1902 a Londra per completare gli studi superiori e quindi, nel 1905, a Parigi, dove si iscrisse alla Sorbona. Purtroppo le cattive condizioni di salute del padre lo costrinsero a rientrare nel 1907 in Turchia, per poter assumere la direzione dell’industria di famiglia. A tale impegno di lavoro iniziò ad affiancare una intensa attività pubblicistica e letteraria. Nel 1908 collaborava alla fondazione e alla direzione del quotidiano Surhantag (Corriere); nel 1909 dava vita, in collaborazione con Karekin Gozikian, uno dei principali esponenti del Partito socialdemocratico armeno, al settimanale politico-letterario Nor Hosank (Nuova corrente) e fondò, con il romanziere Rupen Zartarian e con il drammaturgo Leon Serpossian, la rivista d’arte e di polemica Baguine (Tempio). Dal 1911 iniziò ad intrattenere rapporti epistolari con Marinetti, Lucini, Altomare e si impegnò, con saggi e traduzioni in lingua armena, a far conoscere la loro opera poetica assieme a quella di Govoni e Cardile, nel progetto di una più ampia opera di diffusione della conoscenza della letteratura italiana. Nel 1912 uscì a Istanbul l’importante saggio su Marinetti e il futurismo. Nello stesso anno pubblicava una serie di raccolte poetiche che lo imponevano come una figura di punta del simbolismo nella poesia armena (I sogni crocefissi; Le solitudini stellate; Vahakn; Lo specchio). A tali opere fecero seguito, nel 1913, Aurora, anima di bellezza, Gloria victis, La corona di spine e Il grande cantico della cosmica tragedia, che può essere considerato il suo capolavoro. In questi anni Nazariantz fu impegnato ad ottenere il sostegno degli intellettuali europei alla causa armena trovando in Italia diversi fiancheggiatori. Condannato a morte in contumacia da un tribunale ottomano nel 1913, trovò rifugio nel Consolato italiano, sposò la ballerina di Casamassima (Ba) Maddalena De Cosmis, quindi fuggì esule a Bari. Giunto nel nostro Paese strinse legami sia con esponenti della diaspora armena che con protagonisti della cultura italiana, francese ed inglese, recandosi anche all’estero per motivi di studio. Particolarmente intenso il rapporto di amicizia con G.P. Lucini e E. Cardile. Nel 1915 collaborava alla rivista bolognese Il Ritmo e le edizioni Laterza pubblicarono, come primo volume della collana “Conoscenza ideale dell’Armenia”, il suo saggio sul poeta armeno Bedros Turian.
Dopo aver pubblicato presso la casa editrice Humanitas di Piero Delfino Pesce la traduzione italiana curata da Cardile dei I sogni crocefissi (1916), la raccolta Vahakn ed il poemetto dialogato Lo specchio (1920) visse un periodo difficile, perdendo, dopo sette anni, il posto di insegnante di inglese a causa delle leggi fasciste che impedivano agli stranieri di insegnare nelle scuole statali.
Collaborò a La Tempra di Renato Fondi, con la quale instaurerà un assiduo e duraturo rapporto. In seguito Nazariantz entrò in contatto con alcune riviste d’avanguardia siciliane che ospitano suoi contributi: La Scalata(1917), La Vampa Letteraria (1917) e La Spirale, dove nel 1919 è pubblicato un brano del poema Lo Specchio.
Intanto a Bari strinse amicizia con Franco Casavola e si impegnò a promuoverne la produzione musicale. I due collaborarono ad organizzare, con l’aiuto di Giuseppe Laterza, Giacomo Favia, Tina Suglia e altri, la serata futurista al teatro Piccinni di Bari, del 26 settembre 1922. Pochi mesi dopo, il 2 gennaio 1923, il programma della serata futurista al teatro Margherita di Bari incluse l’“azione mimico-drammatica” Lo Specchio, con musiche di Casavola ispirate al poema di Nazariantz. Nel 1924 la casa editrice Alpes di Milano pubblicò, nella traduzione di Cesare Giardini, che figurava anche come curatore, la raccolta Tre poemicomprendente Il Paradiso delle Ombre, Aurora, anima di bellezza e Nazyade, fiore di Saadi. Si impegnò a sostenere la causa armena e a lui si deve la fondazione nel 1924 a Bari del villaggio per esuli “Nor Arax”, che si manterrà con la produzione di tappeti e merletti.
Dopo il 1943 collaborò a Radio libera Bari tenendo delle conversazioni letterarie, fondò la rivista Graal sulla quale comparvero scritti di Ungaretti e Ada Negri. Nel 1946 veniva pubblicata la traduzione italiana de Il gran canto della cosmica tragedia. Nel 1951 dava alle stampe il Manifesto Graalico nel quale affidava al primato dell’arte assoluta la soluzione del rapporto intellettuale-società. Nel 1952 pubblicò la sua ultima silloge di liriche: Il ritorno dei poeti.
Le ristrettezze economiche ricominciarono e lo accompagnarono fino alla morte pur sfiorando il Nobel per la letteratura nel 1953 con il poema Il grande canto della cosmica tragedia. Alla fine degli anni Cinquanta fu ricoverato in un ospizio a Conversano, vivendo circondato dall’affetto e dalla stima di alcuni giovani amici.
In una pagina lo scrittore barese Vito Maurogiovanni racconta: «Hrand Nazariantz visse a lungo, sempre povero e ospite di amici, ora in questa ora in quell’altra casa, addirittura in famiglie della provincia di Bari. Gli regalò un cappotto il commissario della Dogana Vittorio Laurora, un metro e novanta, voce tonante, un gran viso tagliato con l’accetta, valdese per il suo profondo impegno per gli ultimi della terra. Il poeta armeno Hrand Nazariantz, eternamente povero sino alla fine dei suoi giorni, meritava dunque la sua attenzione e i suoi cappotti. A tarda età, il poeta accettò di diventare cittadino italiano. Ci fu una breve cerimonia in Prefettura. Nazariantz così parlò a Sua Eccellenza il Prefetto del tempo: “Signor Prefetto, io sono grato all’Italia per l’onore che mi ha fatto, ma sono anche triste perché, in un giorno come questo, debbo constatare - e lo faccio con molta umiltà - non ho in tasca il becco di un quattrino. Per questo sono il più povero dei cittadini italiani. Dobbiamo perciò brindare ad acqua”.»
Morì a Bari nel 1962 nel più grande silenzio e nella nostra città è sepolto. A Conversano lasciò invece tutto quelle poche cose che possedeva: libri, manoscritti, epistolario. Anni dopo l’amministrazione comunale di Bari ha voluto onorare la memoria di questo grande uomo e poeta con l’intitolazione di una strada. Nel venticinquesimo della morte Pasquale Sorrenti, che gli fu amico intimo, pubblicò il saggio intitolato “Nazariantz” (Levante Editori, 1987) preziosa testimonianza, anche attraverso le persone che a Bari lo conobbero e lo stimarono, della vita e delle opere del grande Armeno purtroppo dimenticato. Con grande rammarico ho constatato, consultando i cataloghi elettronici, che né la Biblioteca Nazionale Sagarriga Visconti Volpi, né il sistema bibliotecario dell’Università degli studi di Bari possiedono una copia di una qualche opera di Nazariantz.
Per concludere voglio riportare ancora un passo significativo e toccante sempre di Maurogiovanni: «Una sera, parlando di Nazariantz alla libreria Palomar, leggemmo un pezzo di Pasquale Sorrenti nel quale era annotato che “…parlando con l’armeno Diran Timurian, uno del villaggio che si era fatto strada nella vita, ho saputo che le spoglie di Hrand non furono gettate nella fossa comune ma stanno in una tomba conosciuta dal Timurian. Ora Timurian è morto…” Quella sera, nella libreria c’era Rupen Timurian, il figlio di Diran. Si alzò, gli occhi pieni di lacrime, la voce gli mancava; riuscì a dire che Hrand Nazariantz era stato accolto nella loro cappella familiare. »
Hrand Nazariantz, poeta cosmico, fu indubbiamente un uomo di frontiera esule in una terra di frontiera e di accoglienza come la Puglia. La sua ricerca poetica si muove lungo linee teoretiche assai complesse: partendo dal simbolismo francese di tipo ermetico, rosacrociano ed occultistico egli tentò di operare una sintesi e una mediazione verso particolari forme di idealismo. Auspicava una rinascita palingenetica dell’uomo capace di guardare dentro ma anche oltre la realtà, fino agli orizzonti irrazionali dell’utopia.
Il poeta siciliano Cardile, scrisse di lui: «Nazariantz è un Uomo di un’energia inesauribile, di una costanza eccezionale, di un entusiasmo portentoso, affascinante nella sua modestia risoluta. Il suo entusiasmo riesce comunicativo, la sua passione diventa epidemica, se lo conoscete lo amerete, se lo amate vi sentite disposto a dividerne i rischi e a dedicarvi alla sua Causa» (ossia quella dell’Armenia libera). Daniel Varoujan, grande poeta armeno, così scriveva del connazionale: «Nazariantz ha composto poemi che possono eguagliare nel loro splendore profondo quelli di Stephane Mallarmé, poeta francese. La sua anima ha infatti un’eccezionale affinità con l’anima del principe dei poeti. Anima sempre tesa verso un’ebbrezza sconosciuta e indefinita che si può appena percepire attraverso l’umana aspirazione. Le sue immagini sono di una profondità suggestiva. Nazariantz è un poeta luminoso».
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