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"Compie 90 anni Jiavan Gasparyan" un pensiero di Carlo COppola


in via Abovian a Yerevan


Era il 20 dicembre 2005 quando nella Chiesa Mater Ecclesiae di Bari, nel Quartiere residenziale di Poggiofranco assistetti ad un concerto del maestro Djivan Gasparyan. Per la traslistterazione del nome useremo d'ora in avanti la J invece della Dj, attendoci così al suo account Facebook e alla traslitterazione corrente dalla lingua armena.
Come primo approccio dal vivo allo tsiranapogh, nome con cui preferisco chiamare il duduktermine che mi suona di troppo commerciale e russizzato - fu un grande inizio, forse il migliore primo approccio possibile.
Da allora ho sentito molti dudukisti, alcuni bravi, altri ottimi, altri scarsi, parecchi senza fiato, la maggiorparte con grande tecnica. Alcuni erano rozzi come gli zampognari dell'Appennino o altri sofisticati in giacca e cravatta, alcuni puzzavano di pecora e avevano giacchette striminzite e magliette infeltrice, qualcuno era un vero pastore di capre. 
A quel concerto ero seduto davanti, nelle prime file, ma non perchè mi occupassi di Armenia, di cui allora non sapevo quasi nulla, conoscendo a mala pena la storia del poeta Nazariantz e del villaggio. Ero inserito in un progetto nato attorno ad un corso sui mestieri del cinema che avevo ricevuto in premio come coraggioso attore di una piccola iniziativa a Venezia
A fine concerto con altri colleghi di corso dovevamo intervistare gli esecutori del concerto. Io facevo le domande altri le riprese. Jiavan Gasparyan era accompagnato da una traduttrice dall'inglese al russo, avrebbe potuto chiamarsi Katia, essere atea come una bambola - gaddiana -che gira gli occhi. Filtrava, impunemente, tutte le domande e si capiva che non gliene traduceva neppure la metà. Ma nonostante ciò il suono di Gasparyan è ancora oggi per me il più evocativo e quello che quassa l'anima, che mette in crisi i pensieri, fa sobbalzare e svuota il cuore. L'intensità di quello strumento pari al più maestoso concerto di Vivaldi è ancora per me un miracolo d'Amore. 
Un paio di anni fa a Yeravan, poco distante, da casa di mia suocera, su via Abovian è stata piantata una grande statua non brutta e realistica che raffigura tre grande dudikisti Vache Hovsepyan, Levon Madoyan e Jivan Gasparyan. Questa è una delle cose che amo dell'Armenia, non solo si realizzano e si istallano ancora tante statue, ma soprattutto esse non raffigurano solo i morti, ma spesso anche persone viventi che in questo modo avrebbero la possibilità di godere del ritratto, approvarlo o disapprovarlo. 
Ringrazio il maestro Jivan Gasparyan e gli formulo gli auguri più affettuosi per i suoi 90 anni.