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Note sulla Poesia dell'Universale



di Salvo Jethro Brifa

Il 28 Dicembre 1908 il terremoto sgretolò Messina. Il Cardile perse genitori e Sorelle. Il Poeta Antonio Toscano e tanti altri appartenenti a cenacoli letterari simbolisti nei quali risuonavano le righe affilate di riviste come:  “LE PARVENZE”, rimasero sepolti sotto le macerie, (Messina ricostruita perse tantissimo della sua essenza spirituale con la quale si specchiava sul mare e in tanti dicono che non è la stessa, anche se ancor si staglia sugli orizzonti magici del crepuscolo). Davanti alle coste livide della città scossa e martoriata, una sensibilità come quella di Enrico Cardile non poteva annegare nel dolore, ma inabissarsi sotto il  “blu oltremare” dal quale ottenere quella spinta che, dal basso dei fondali della sofferenza, guardasse all'alto e rispondesse (con forza intensa) a esigenze espressive nuove, creative. Si trattava e, ci riuscì, di trovare versi ossigenanti, il filo argenteo del ruscello vivificatore, il bandolo di matasse interiori che non rompessero con la tradizione autentica, ma rispondessero a tempeste dello spirito capaci di liberare la Parola da strutture obsolete, calcinacci e pareti (intese come recinti soffocanti più che muri maestri),  di restituirla alla sua sorgente feconda per accogliere, amplificare l'entusiasmo di quegli spiriti attenti alle chiare e fresche acque che portano in grembo la musicalità silente della Parola liberata, ovvero in Poesia vera, azione evocatrici di sentimenti puri, “vocaboli spogliati” da suggestioni rarefatte, viziate e artefatte (Poesia cromatica e, essenza di musica e note altissime, cosa diversa da libere parole sparse su pendii scivolosi che precipitano a paludi, regno opaco dell'olezzo), ma vere esplosioni di bagliori e tuoni ritmici per chi attende paziente alle albe della grazia rigenerante. Parola vitale capace di evocare quindi “forme esplosive di pianeti e galassie negli animi; colori spirituali che schiudono a visioni universali. Una poesia vibrante, dirompente che non è caduta libera , come pioggia di coriandoli  di fogli ingialliti e sporchi per esibizionisti, quanto una poesia di sapienza allucinata che si rinnova in sua essenza e trova linfa vitale slegandosi da corde ammollate o da catene ossidate; si alimenta con il vigore di volontà sinuosa, di note che sanno fendere le foreste in nero e dicono no alla materialità soffocante che vuole nascondere le macerie dell'anima sotto lapidi con titoli per cari estinti.
La Poesia universale spiega a mistiche visioni che ammiccano alla bellezza salubre. E' Canto incantevole non inganno per la Vita! Questa era l'esigenza profonda dei “Circoli Simbolisti Siciliani” dei primi del novecento. A quanti oggi più di ieri, interessa isolarli o negarli? Oggi più di ieri la fiaccola di Prometeo deve ardere per bruciare paura e ignoranza! Poeti Visionari, musicisti del vero tornate a comporre con superbia d'eccellenza e non prostituitevi a motivi musicali più adatti alla mediocrità: offesa per i circoli e correnti dello Splendore. Voi, Esseri come esseri eletti che sanno essere anello d'oro di congiunzione siate forti e desiderosi di visioni autentiche, nelle quali la profondità del sentire è corrente misterica e cioè di trasmissione silenziosa attenta a ogni minima sfumatura. Voi che sapete dare attenzione e riconoscere l'energia vitale utile per innalzarsi gradualmente  fino ad altezze vertiginose non abbiate paura dell'invidia dei miseri che nulla sanno del valore delle perle, ma certo al desco di ghiande possono invitarvi. Non abbiate paura di fare domante, perché solo i puri di cuore non hanno paura di apparire nella loro statura. Non abbiate paura di scrutare il cielo e l'occhio di chi si pone come ostacolo. Nel Cardile non vi è prevenzione rispetto alle “nuove correnti di pensiero”, ma da intellettuale onesto offriva Ascolto. Egli preferiva leggere, scrutare, comprendere, immergersi fino a invischiarsi, ma questo non gli impediva di trovare la propria posizione con lucidità, di obbedire,  al distacco concentrato utile al discernimento.
Non era un uomo ingenuo, al contrario in lui vi era il polemista di razza, la penna raffinata, l'aristocratico della Cultura che offre il suo pensiero al servizio del proprio tempo. L'arte come dottrina regale di sapienti che sanno leggere nei cieli a attraversare le tenebre alla ricerca della scintilla per la grotta dell'Anima. E' l'uomo dagli interessi più diversi, che porta in sé la freschezza del fanciullo curioso, capace di cogliere l'acume, il talento dell'altro e di valorizzarlo, purché risponda ad esigenze di  intellettuali, facendo all'occorrenza opposizione in favore della giustizia e fedeltà al bisogno di “Rinnovamento Culturale”; sempre pronto a scagliarsi contro la retorica e ogni banalità: offesa per ciò che è melodia di nidi d'aquila! Capace di rinunciare alla notorietà di certi luoghi di dubbio valore, dove si acclama per spettacolarizzazione e si giunge per favoritismi. A uomini come lui, a certi titani della Cultura, di cui il mondo è orfano, non interessa l'arena di un pubblico vasto e presuntuoso. Il rispetto verso se stesso e verso la funzione dell'Arte come mezzo di elevazione per la coscienza lo portò a non cedere alle lusinghe del Marinetti e, seppur nella prima ora era con i futuristi, in seguito si dissociò riconoscendo, invece, in Gian Pietro Lucini e la sua opera il grembo fecondo di chiarezza intellettuale, nel qual  dovevano essere riposti i bisogni culturali e Spirituali. Con il Lucini vi era fraternità, condivisione di ideali, attenzione alla genialità e alla istanze di popoli soffocati dal rumore degli interessi dei prepotenti, miopi che nulla sanno dell'Ascolto e dell'Armonia. L'Arte vera valorizza il talento, riconosce la peculiarità di ogni singolo, lo incoraggia a trovare la via migliore per amplificare la luce che porta in sé e, lascia che la sua unicità serva al bene comune.
Credo che l'incontro di Hrand Nazariantz con Gian Pietro Lucini, con Enrico Cardile e Giuseppe Cartella Gelardi sia stato provvidenziale. La statura morale e la lealtà verso l'animo dell'intellettuale armeno li unisce nel rispetto della ricerca delle parole più appropriate, del suono migliore, perché l'opera del Poeta Cosmogonico sia il più fedele possibile al verso universale dal quale è sgorgato, nel quale il Poeta armeno si era immerso navigando in “Solitudini Stellate”, ma sarebbe meglio dire: In Splendida Solitudine perché tale definizione meglio risponde “in ultima ipotesi” a una forma originale di spazio “in – finito” nel quale nulla si consuma, ma tutto si trasforma e porta in seno la cifra, l'accordo, seme di armonie che dona Luce e Calore all'Opera Alchemica del Poeta/Visionario. Nella ricerca della Parola Giusta, per tradurre in lingua italiana l'opera di Hrand Nazariantz, il Cardile ( nella sua premessa e note biografiche ai sogni crocefissi) si preoccupa di sottolineare che se vi è ombra o stonatura la colpa è da cercarsi nei suoi limiti. Il bisogno di fedeltà all'esperienza del delirio spirituale li schiude a complementarietà e confronti a tutto vantaggio dell'eleganza nello stile e semplicità nei numeri.  Il rispetto per chi intinge a Canti oceanici del Silenzio è il riflesso della nobiltà di Spirito di chi al “Grande Canto dell'Amore Arcano” (Odi tradotte da Giuseppe Cartella Gelardi) e al “Il Grande Cantico della Cosmica Tragedia” dove Eli Drac (Pseudonimo del Cardile) e Hur Hayran (Pseudonimo del Nazariantz),  navigando in un vivace fermento poetico, hanno messo mano a un'Opera dove tutto ciò che è alto e tutto ciò che è basso, tutto ciò che è sostanza Spirituale e tutto ciò che è sostanza materiale, visibile e invisibile, ha trovato il verbo per una lirica cristallina, segno di un'esperienza di sogno vigile che sa trasmettere intese esclusive di profonda emozione, trasmutazioni di inebrianti geometrie, architetture di un Parnaso le cui cicliche emanazioni hanno il profumo dei germogli della Rosa, i colori vibranti dell'aurora che si raccoglie nel mistico volo di un attimo bagliore, sinfonia, eco dell'Assoluto.

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