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"La Bastarda di Istanbul" a Teatro di Rifredi in scena la Storia del 900

Si è chiusa ieri pomeriggio al Teatro di Rifredi di Firenze la prima stagione di repliche della "Bastarda di Istanbul" lavoro teatrale diretto da Angelo Savelli e tratto dallo straordinario romanzo di Elif Shafak
La pièce è stata interpretata da una eccellente squadra di attori in cui si distinguono per notorietà Serra Yilmaz, attrice turca, nota al grande pubblico quale protagonista di molti film di Ferzan Ozpetek, e Valentina Chico, che stupisce per intensità ed efficacia. 
Con "La Bastarda di Istanbul" al Teatro di Rifredi va in scena la storia del 900 e con essa una parte significativa della Questione d'Oriente relativa alle vicende della Turchia contemporanea. 
Si tratta, a prima vista, della storia di una famiglia, una vicenda di pochi e per pochi, le cui relazioni intime sono però guidate da una voce narrante, un personaggio che recita prevalentemente a-parte, una donna, una veggente in contatto con due geni, come nella tradizione letteraria ottomana dei secoli d'oro; un genio è buono e uno genio cattivo e attraverso di essi costei conosce tutti i segreti della sua famiglia anche i più intimi ed inconfessabili.
Potrebbe essere un giallo costruito male in cui tutti dall'inizio conoscono, o intuiscono, le inesprimibili  e atroci debolezze di tutti, le meschinità involontarie che portano alla perdizione umana, al doppio gioco  dentro e fuori ed aspettano forse il momento per sfoderarli in una guerra fredda in cui tutti sono carnefici perché detentori del segreto e vittime perché sconfitti nella loro umanità. 
Ciò che colpisce in modo particolare sono le immagini di una delle città più belle del mondo che si affastellano in un dramma sempre sospeso tra il pubblico e il privato, tra il dentro e il fuori, negli spazi perenni nelle grandi cupole moschee e su fino alla Torre di Galata un tempo possesso dei genovesi, luogo da cui il primo Icaro dell'età moderna spiccò il suo folle volo tra il 1630 e il 1632. Si chiamava  Hezarfen Ahmet Çelebi, e utilizzando ali artificiali, si librò sorvolando il Bosforo atterrando a Üsküdar. 
La Shafak come tutti i protagonisti della vicenda da lei descritta, e gli interpreti della messa in scena, amano profondamente la Turchia  ma di un amore contrastato, e non sempre ricambiato. Figli di un dio minore, tutti sentono la loro appartenenza cosmopolita, la cosmogonia che avvolge la Polis, quale unico sentimento in grado di tenere insieme le diverse parti della cultura e della società turca. Essere Ottomani era soprattutto questo, intensamente pluri e multietnici, ma ad un tratto questa pluralità intima si era spenta sopraffatta dai falsi ideali di nazionalismo mascherato da democrazia e progresso. 
E' forse questo il senso della vicenda narrata, un fratello e una sorella, entrambi etnicamente Armeni e Turchi allo stesso modo generano la "Bastarda" la società contemporanea, che è frutto di una violenza, di un tradimento di valori, di un incesto. Nessun pentimento per quanto tardivo riuscirà mai a riporre ogni cosa al suo posto se non nel conoscimento e nel disvelamento del dramma. I Turchi non riconoscono e gli Armeni che fanno di quel mancato riconoscimento la ragione di vita. Se i Turchi riconoscessero cosa impossibile per tante ragioni, gli Armeni perderebbero davvero uno dei principali valori che li tiene insieme da ogni parte del mondo? Ai posteri l'ardua sentenza.

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