....E a Cavriglia si cantò l'Armenia materna terra di dolore e di speranza...
un momento della rappresentazione a Cavriglia |
La soprano armena Agnessa Gyurdzhyan |
I paludati benpensanti snobbano la periferica piazza aretina. Non un cenno da nessuno, se non dai più odiati di tutti, nonostante ripetuti giri di email a piccole e grandi istituzioni.
Allo stesso modo si conferma purtroppo il brutto vizio di taluni ambienti romani che considerano degno di diffusione solo ciò che essi stessi producono, ignorando e, disprezzando con il loro colpevole silenzio tutto quello che è fuori da esso.
Il maestro Massimo Lippi, artista e poeta, ha realizzato un atto performativo puro come raramente se ne vedono ormai nei teatri. Benché negato in premessa, il divenire drammatico è realmente tale.
Massimo Lippi durante la performance |
Se ci fosse stato il grande Tadeusz Kantor - siamo certi - che avrebbe apprezzato - come un Cricotage dei nostri giorni - l'atto scenico puro in cui il fatto in sé sarebbe apparso impossibile.
Un momento della performance "Armenia: oh materna voce del pianto e de la Speranza" |
Così i suoni della voce e le musiche al pianoforte di padre Komitas riecheggiavano nel Teatro Comunale di Cavriglia, essendo armoniosamente una parte del tutto, fatto di gesti, movimenti, sottili o imperiosi mutamenti, che inteso come immanente e accadente, riportava le composizioni di Soghom Soghomonian nel suo sublime luogo eterno, ovvero il già accaduto.
l'Agnellino protagonista della performance |
Lo Dzirani Dzar, l'albero dell'albicocco, accanto al quale agiva la convenzione teatrale, si trasformava non per metafora, ma per consustanziazione, nel simbolo della vita di un popolo pacifico, le cui donne e i cui uomini cantavano ai dì di festa ornandosi il petto e il crine, ricoprendo di fili di lana l'effimero paesaggio di colori, e di suoni.
Tutto accade tra una notte ed un giorno, niente si dichiara se non 'il grande male' imminente che non si vede.
Un momento della performance
"Armenia: oh materna voce del pianto e de la Speranza"
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Ecce Agnus, Ecce Homo!
Belano entrambi soavemente e se il turco miete, sanguina il melograno dai bei vermigli fior.
Un momento della performance"Armenia: oh materna voce del pianto e de la Speranza" |
L'azione l'agisce l'agnello belando in proscenio, e la replica la piccola Ani (figlia del maestro Vighen Avetis) dal suo passeggino, con piccoli e garruli gridi parsimoniosi. Ad un richiamo dei due virgulti, all'uno risponde l'altro, parlano la stessa lingua, nulla sapendo che a Roma e nel mondo qualcuno pretende di obnubilare l'atto d'amore dedicato all'Armenia, con l'assurda prerogativa di detenere il copyright su quel sacro nome.
L'Armenia perenne è quella con capitali Trebisonda, Sivas, Tiflis, Aktamar, Erzurum, Ani, Erivan, Ecmiadzin, è quella la materna terra immortale del dolore e della speranza in cui i moderni cantori, anch'essi ritenuti troppo nazional-popolari, hanno acceso duplici candele invocando i santi a protezione della gioventù e del futuro della Patria, una per l'inscindibilità e una perché Iddio protegga l' Haystan!
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