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Ricordando Hrand Dink - Ipo-Tesi Dink - un testo teatrale di Carlo Coppola








Hrant Dink era nato il 15 settembre del 1954, dopo aver frequentato le scuole armene, si laureò in zoologia pur continuando a dedicarsi agli studi di filosofia. 
Nel 1996 aveva assunto la direzione di “Agos”, giornale bilingue della comunità armena di Istambul, dalle colonne del quale si è sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni e tra Turchia ed Armenia. 
Nonostante questo suo impegno, non è sfuggito alle mire del famigerato art. 301 del codice penale turco ed è finito sotto processo e condannato a sei mesi di prigione (con la condizionale) nell’ottobre del 2004 con l’accusa di “lesa turchicità”. 
Il suo carattere mite è evidenziato dalle parole che pronunciò, a caldo, dopo la sentenza: “se la mia condanna verrà confermata significherà che ho insultato questa gente e sarà un grande disonore per me restare nello stesso paese. Quello che è successo è inconcepibile”. 
Il 19 gennaio del 2007 in una delle più affollate vie di Istanbul, Dink cadeva, colpito alle spalle da mani assassine. Era un uomo di pace che credeva nel dialogo e nella giustizia. Un uomo che difendeva la verità e per la quale fu assassinato. 
Ad oggi i veri responsabili di questo vile gesto non sono stati ancora identificati. È stato condannato solo l’esecutore materiale, un ragazzo minorenne all’epoca dei fatti, mentre i mandanti e le trame oscure sono rimasti dietro le quinte. Il processo è tutto da rifare.
A distanza di sei anni vogliamo continuare a ricordare questo grande uomo che con la sua morte ha dato il coraggio a tanti cittadini turchi di sfidare la verità imposta dallo Stato e proclamare il loro diritto a pensare liberamente in un paese dove sono decine i giornalisti incarcerati.
A distanza di sei anni vogliamo continuare a sperare che il sacrificio di Hrant Dink sia stato lo spunto per dare vita ad una nuova identità del popolo turco dove il dialogo, la tolleranza, il rispetto, la comprensione, la verità e la giustizia siano la base per una convivenza tra i popoli e per un futuro migliore.
Pochi giorni dopo la morte del giornalista scrissi un testo teatrale intitolato

Ipo-tesi Dink di Carlo Coppola il testo avrebbe dovuto essere rappresentato da una attrice di origine turca e un attore di origine armena, ma non è mai stato rappresentato.

         

- Scena 1 -

X: Di recente mi hanno domandato se io continuo a seguirti.
Ed io come al solito non ho avuto da rispondere niente,
in parte proprio per quello stesso amore,
in parte perché esso si fonda su una quantità di dettagli
che non saprei neppure elencare.
Le passioni più profonde non hanno bisogno di motivazioni;
le provocano i fatti non misurandone la forza,
e se qualcuno le canta così da muovere il cuore,
molti adoperano poi quella commozione per i propri scopi,
ed infondo…
è solo questione di contrappunto.


Y: Io sono un sognatore
io sono un manipolatore di ombre
io vedo ogni giorno il mondo passarmi attraverso.
Ad una grande finestra
osservo anime senza suono,
senza parole.
Mi aggiro per i luoghi che ben conosco
in cerca di un po’ di verità
e sempre più spesso rimango senza parole.
Mi guardo le mani non devono essere poi così sporche.
Dalla grande finestra del mio studio osservo le auto che passano
Io, non ne sento il rumore.
Passano veloci e io non vedo niente, non posso distinguere.
Ho solo il riflesso di capelli negli occhi,
e guardo passare uomini, donne, bambini, animali.
Si aprono le porte
aspetto un contatto a brucia pelo,
aspetto che tu entri che tu ti faccia sotto
contro di me, verso di me, accanto a me
allora mi svuoto, senza coscienza.

(Y si ferma davanti al pubblico)

Che tu venga a infrangere le mie necessità
a privarmi di esse, a bastarmi.
Allora resterà solo un taglio nella mia carne
un foro nella mia pelle,
da fare senza dichiararlo,
disperso tra le idee nella mia testa.

(Musica: Brano 1)
(Y si siede. Si tira giù i pantaloni
(X si toglie le calze)


(La musica segue tutta la vestizione)

X: o mia Patria, tragica e bella,
regno del caso, regno del sangue,
su te vigila la follia delle tue torri antiche
- ceri già spenti sulla tua lunga agonia -
colpisce, e rende la tua anima stanca
col rosseggiare sanguigno
dai tuoi tramonti.
I Muezzin
Nelle loro notturne preghiere
Profondono i singhiozzi del tuo cuore martirizzato,
sul quale sembra che un pugno chiuso
percuota, con lugubri rintocchi
come i colpi di una campana in agonia…
le tue antiche fontane stellate
- crani dalle orbite cave -
sono stanche di piangere sotto l’occhio della notte
all’ombra dei tuoi cipressi
per cui si offusca l’anima.
E nella sera la tempesta barbara ha urlato
il suo tripudio, la gioia
della sua triste anima senza sole
e ha seminato la peste
sopra le stelle del tuo grande sogno.

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