"Turchia: Giornalisti dentro, criminali fuori" di Murat Cinar
pubblichiamo questo articolo dell'amico Murat Cinar tratto dal sito internet http://www.glob011.com/mondi/item/474-turchia-giornalisti-dentro-criminali-fuori.
In Turchia, in questo momento, sono più di cento i giornalisti detenuti. Nel frattempo, invece, è caduto in prescrizione il processo che cercava da anni i responsabili del Massacro di Sivas.
Dopo 375 giorni di prigionia, Ahmet Şık, Nedim Şener, Sait Çakır e Coşkun Musluk sono stati rilasciati il 12 Marzo 2012, anniversario dell'ultimo colpo di stato, avvenuto nel 1980. Tranne Musluk (ricercatore universitario) tutti sono giornalisti e lavorano per il sito web di informazione indipendente Oda Tv e sono stati trattenuti in carcere da prima dell'inizio del processo perché ritenuti individui pericolosi per la società.
Le prove addotte per dimostrare la sussistenza di reato erano costituite principalmente dal libro che avevano abbozzato a sei mani, pubblicato successivamente: "L'esercito dell'Imam". Il testo è una ricerca approfondita sul partito al Governo, l'AKP, corredata da una serie di interviste, che mira a fare luce sul passato oscuro del movimento ed in particolare sul suo legame con Fettullah Gulen, ex imam e storico leader spirituale del movimento fondamentalista religioso turco, in esilio negli USA da tempo. "L'esercito dell'Imam" parla di come, prima che Gulen migrasse negli Stati Uniti, in Turchia siano state intentate diverse cause contro di lui, per via delle sue attività politiche e religiose, che si supponeva avessero in realtà lo scopo di aiutarlo ad infiltrarsi in modo illegale tra le forze dell'ordine, nel sistema giuridico e nel sistema dell'istruzione pubblica e privata. Le accuse sono tutte attualmente cadute in prescrizione o, talvolta, ritenute insussistenti. Ahmet Şık sosteneva che, in Turchia, chi avesse toccato Gulen, avrebbe preso fuoco, cioè sarebbe stato preso di mira.Una seconda prova addotta per incastrare i giornalisti si basava su intercettazioni (centinaia di pagine) presentate durante il processo. Un'approfondita ricerca dimostra che le intercettazioni presentate come prove di attività illegali sono per lo più telefonate ordinarie o inerenti l'attività lavorativa dei tre uomini. Terza prova impugnata sono documentazioni che paiono svelare segreti di stato, reperite negli hard disk dei loro computer, da parte della polizia informatica. Eppure, grazie alle relazioni di tre Università statali turche e ad un istituto di ricerca informatica americana, durante il processo, la difesa è riuscita a dimostrare che tutto questo materiale è stato memorizzato nei computer degli imputati dopo che essi sono stati tradotti in carcere.
La farsa del processo noto come "di Oda Tv" è ormai finita, ma la paura di parlare, in Turchia, è già dilagata. Chi esprime idee contro il Governo, il partito di maggioranza o magari Fettullah Gulen, "prende fuoco" e rischia grosso. Il giornalismo che fa informazione (vista come opposizione), prima di tutto. Qualche giorno fa, Özlem Ağuş, giornalista che ha riportato le condizioni tremende del Carcere Pozanti, episodi come tortura e violenza sessuale ai danni dei detenuti, è stata arrestata con l'accusa di propaganda a favore di un'organizzazione terroristica. Va specificato che le condizioni al Pozanti erano state precedentemente documentate anche da alcuni Parlamentari, soprattutto dei partiti all'opposizione CHP e BDP, presso la Commissione dei Diritti Umani del Parlamento Nazionale della Turchia. Duecentouno minorenni detenuti, la maggior parte con l'accusa di attività politica illegale sono stati spostati, in seguito, in altri carceri ed il Ministero della Giustizia ha intentato delle cause contro i direttori e le guardie del Pozanti. Ciononostante Özlem Ağuş si trova tuttora in carcere. Il 6 Marzo scorso, in diverse città della Turchia, sono state arrestate 36 persone appartenenti agli organi di stampa dell'opposizione o membri/dirigenti del BDP (Partito della Pace e della Democrazia).
Oggi, nelle carceri turche, sono detenuti più di 100 giornalisti colpevoli di aver espresso critiche o pareri contrari a quelli del Governo. Alcuni cercano ancora di far sentire la propria voce e manifestare la propria opposizione attraverso semplici articoli politici o approfondimenti. Spesso il "bavaglio" frena la cosiddetta "stampa curda", ma non soltanto. Per "stampa curda" si intendono giornali, riviste o agenzie che pubblicano notizie in lingua curda, in rispetto dei diritti civili dei cittadini turchi di origine curda. Tra questi i quotidiani Azadiya Welat e Atilim, l'agenzia stampa DIHA, il canale televisivo Gün TV, il giornale Özgür Gündem, le riviste Bilim ve Gelecek, Tavir e Yuruyus, solo per citarne alcuni. La maggior parte ovviamente non viene ufficialmente accusata per la semplice attività giornalistica, ma tirando in ballo fittizie attività terroristiche, improbabili accuse di propaganda a favore di organizzazioni terroristiche, saccheggi, stupri oppure omicidi. Il Ministro delle Relazioni con l'Unione Europea Egemen Baris, il 1 Marzo, durante il programma HardTalk della BBC, affermò che in Turchia nessun lavoratore dell'informazione venisse detenuto a causa delle proprie idee e dei proprio servizi giornalistici, bensì esclusivamente per altri reati come quelli precedentemente elencati. Il giorno seguente, un Parlamentare del CHP, partito all'opposizione, Umut Oran, inoltrò al Ministro della Giustizia una richiesta ufficiale con lo scopo di chiedere ufficialmente quali dei giornalisti in carcere fossero stati accusati di questi reati. Fino ad oggi il Ministro non ha diramato nessun comunicato ufficiale e pubblico a proposito. La stessa richiesta era stata inoltrata anche il 1° Febbraio 2012 da parte della Parlamentare Melda Onur (sempre del CHP) a seguito di un'intervista del Primo Ministro Erdogan rilasciata al giornale Zaman (di ispirazione fondamentalista religiosa, ritenuto ufficiosamente l'organo di stampa dell'AKP): in quella intervista, il Primo Ministro asserì: "Detenzione di armi o esplosivi, falsificazione di documenti, violenza sessuale, tentativo di colpo di stato... Ecco per quali motivi vengono processate le persone che vengono chiamate giornalisti". Anche questa richiesta non è stata ancora soddisfatta da parte del Ministro della Giustizia. Mentre i processi contro i giornalisti continuano, anche la durata del periodo di detenzione si dilata. Alcuni giornalisti sono in carcere da più di 5 anni ed aspettano ancora la conclusione del processo. Tra gli oltre cento giornalisti detenuti si annoverano dirigenti o direttori di alcune testate o addirittura l'intero gruppo redazionale di alcuni quotidiani o riviste che, ovviamente, almeno momentaneamente, non fanno più informazione. Oltre ai giornalisti sono detenuti 34 distributori. Da quanto emerge da una ricerca della rete di informazione indipendente BiaNet, 94 di questi 134 detenuti, sono curdi.
Mentre le carceri si popolano di persone all'opposizione, avviene lo spopolamento inverso. Il 13 Marzo La Corte Penale Numero 11 di Ankara ha annunciato la caduta in prescrizione del processo sul Massacro di Sivas perché gli accusati, latitanti da più di 10 anni, non sono mai stati rintracciati e non sono mai, quindi, comparsi in giudizio. Un caso pubblico di una certa entità cade, così, automaticamente, in prescrizione. Tuttavia lo Stato avrebbe avuto la possibilità di salvare il processo, se solo avesse deciso di trasformare l'accusa in "crimine contro l'umanità", senza, per altro, distorcere la semplice realtà. Infatti gli accusati si sono resi colpevoli di aver appiccato un incendio al centro della città di Sivas (nel cuore dell'Anatolia) in un albergo, causando la morte di 19 persone che si trovavano in città per il Festival Pir Sultan Abdal, il 2 Luglio 1993. Erano giornalisti, scrittori, politici, poeti, fotografi, ricercatori, attori, fumettisti ed attivisti, 19 persone arse vive mentre una folla era riunita in piazza a scandire slogan con il sostegno di alcuni amministratori locali. All'inizio furono arrestate 190 persone, poco dopo 60 di queste furono rilasciate. Nel 1994, furono rilasciati altri 37 accusati. Nel 2000 gli accusati erano soltanto 33, 8 di questi riuscirono ad evadere e sono tuttora latitanti. Due degli otto latitanti sono ormai morti. Gli altri sempre irreperibili. La Corte Penale Numero 11 di Ankara ha detto che les jeux sont fait e non si può più continuare con il processo. La parte più scioccante della questione riguarda gli avvocati dei detenuti, tutti personaggi pubblici, come l'ex Ministro della Giustizia Sevket Kazan del Partito Refah (che ha dato vita all'AKP) e parecchi avvocati che prima erano iscritti al Partito Saadet poi all'AKP. Alcuni di essi ricoprono posizioni amministrative.
La reazione del Governo? Prima abbiamo visto quella per i giornalisti in carcere. E in merito a coloro che sono ancora latitanti ed hanno commesso un reato così grave come bruciare delle persone vive? Il giorno dopo la decisione del tribunale, il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan disse: "Spero che questa decisione faccia bene al nostro popolo: da anni sono recluse delle persone in carcere."
I giornalisti reclusi sono detenuti a causa del proprio lavoro con accuse false o costruite e meritano la pena; quelli che hanno bruciato civili in piazza sono fuori, senza catene e va bene così. In fondo si tratta di un Paese il cui Primo Ministro ha chiesto il risarcimento dei danni morali a fumettisti che l'hanno ritratto somigliante ad un gatto. Il mio micio Sansone si è chiuso in silenzio stampa, molto risentito.
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