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Lettera a Giancarlo Siani di un figlio immaginario [di Helen Chiappini e Paolo Esposito]

riprendo dal sito http://caffenews.wordpress.com/ questo bell'esercizio di stile di Helen Chiappini e Paolo Esposito dedicato al giornalista Giancarlo Siani. Nei confronti di tutte le mafie e della Camorra della Terra di Lavoro in particolare l'importante è testimoniare, con qualunque mezzo.

Caro papà,

sono tuo figlio, sono il figlio che avresti avuto se soltanto qualcuno non ti avesse strappato via alla vita così giovane. Neanche il tempo di avere qualche capello bianco che già non c´eri più, che già eri ricordo. Ma mentre tu barbaramente morivi, io, figlio, non ero ancora nato.
Era il 23 settembre dello stesso anno in cui son nato io, papà, il 1985. Ora rileggo i tuoi articoli, pezzettini di carta che hai lasciato, inchieste, parole, a testimonianza di un ideale, di un amore per il giornalismo che oggi io non solo riesco perfettamente a comprendere, ma condivido e porto avanti con la tua stessa tenacia e con l´unico desiderio di poter raccontare la realtà dei fatti.
Rileggo il tuo ultimo articolo, parla di quella nonna che si serviva di suo nipote come corriere della droga e penso a quante poche cose siano cambiate oggi. Ma tu, papà, un segno lo avrai pur lasciato da qualche parte! Lo cerco nelle foto. Ti guardo sorridere, indossi i tuoi occhiali tondi. E pensare che oggi son di moda le lenti rettangolari: le mode cambiano e fanno sembrare le immagini del passato ancora più distanti, sbiadite.
La mia foto preferita, però, è quella che ho davanti a me in questo momento. Ti vedo in piedi, sulla tua Mehari, dietro di te il mare che si scorge da un altopiano. Non so perché, ma quella macchina mi fa pensare alla guerra, la guerra che tu hai combattuto per te, per noi, per lasciarci un mondo migliore, per vivere delle vite diverse. Sei fiero, sorridente, come se la tua battaglia l´avessi già vinta, come un soldato al ritorno dalla missione. La missione dalla quale tu non sei più tornato. E questa è l´immagine dell´eroe, quell´immagine che mi sono costruito negli anni, ma so che tu, in realtà, sei stato un eroe per caso.
So che quello che più volevi fare era il tuo lavoro: non cercavi fama, non cercavi successo nella gloria di un facile giornalismo.
Il tuo obiettivo era diventare un bravo cronista, capace di scavare a fondo nelle vicende. Sempre pronto a migliorarti, perché scrivere per te non era un traguardo, ma un’occasione per imparare.
Le tue parole erano come mattoni di un ponte col quale arrivavi dritto ai lettori ed i tuoi articoli non sono mai morti su una pagina di giornale, perché tu hai sempre creato quella continuità che fa attendere un seguito.
Mi chiedo se sapessi il rischio che correvi addentrandoti in inchieste sgradite, se ti rendessi conto della risonanza delle tue parole: un uomo qualunque che si trova davanti a qualcosa che scotta, chissà che cosa!?! Ho cercato di comprendere il perché della tua scomparsa, papà, cercavo giustizia, cercavo la verità, volevo sapere, capire. Poi ho pensato che questo compito non spetta a me, tuo figlio, figlio di un giornalismo genuino, figlio di un sogno che condivido: quello di scendere in strada e scrivere.
Io papà voglio ricordarti per l´uomo che eri, per quell´essere un ragazzo di ventisei anni che iniziava allora a vivere la sua vita. Voglio ricordarti alzare il pallone e schiacciare a rete durante gli allenamenti della tua squadra di pallavolo. Voglio ricordarti parlare con le persone con quella immensa dote comunicativa che ti ha sempre contraddistinto. Ed ancora, voglio rivederti lì, a Roma, a marciare per la pace, oppure al San Paolo a tifare la tua squadra del cuore. Desidero ricordarti nei sorrisi di ogni giorno, nella tua quotidianità, per quello che eri, per quello che di vero hai dato a tutte le persone che ti hanno conosciuto: i tuoi familiari, i colleghi, gli amici e chi ti ha anche incontrato una sola volta, perché ogni vita, papà, lascia un segno e tu a me hai insegnato tanto. Mi hai insegnato l´umiltà di essere un giornalista, mi hai insegnato a guardare alla verità, al mio lavoro con sorriso ed entusiasmo senza fermarmi alle apparenze.
Papà, io non ho i tuoi stessi occhi, non ho il tuo modo di camminare, di parlare alle persone e probabilmente non ho neanche nessun diritto di sentirmi tuo figlio, ma se ti scrivo questa lettera aperta è solo perché ho un sogno immenso: raccontarti per quello che eri veramente, un eroe per caso, ma non un giornalista per caso.

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