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"La Lampada di San Gregorio" poema di Hrand Nazariantz







La Lampada di San Gregorio 
nella traduzione di Enrico Cardile


Sulla cima di Ararat
quando le nuvole pallide
si effondono
nel dissolversi degli orizzonti
e il nostro sogno abbagliante 
ascende
col tramutarsi dei cieli
religiosamente silenziosi
solennemente sereni,
e sovra le acque notturne
fiorisce la cupa tristezza
delle nostre speranze immortali invulnerabili,
in alto, in alto
sospesa irreale
la tua lampada, o San Gregorio,
arde arde
a traverso i secoli
sul cuore della Razza
la sua vasta epopea splendida e rossa
nella quale Tu versi
l'oro delle sonanti ferite
- fiamma agitante sul terrore dei venti - 
l'oro delle tue ferite tentacolari
- Oro pericoloso nel furore glauco di Araxe!...

Non è forse la tua anima stellare
o il tuo sguardo trasmutato in fuoco
che tu prodighi
sulla morte città
nelle notti di addio...
quando nelle braccia argentee della luna
che cingono la morte balsamica
dai profumi vertiginosi che la notte propaga
agonizza il nostro cuore immortale?...
Ah, Il nostro Amore!... Ella è pallida come un'Assente
- Sempre! - 
Fiammeggiamento solenne
- Musica!...
Fiammeggiamento che sposa alla pallidezza
delle nostre anime
- Per sempre!... - 
Quando la nostra voce - De Profundis! - s'abbissa...
- Addio!...
Quando il nostro cuore infinito divorato dalle brume
- Illusione!... -
è senza più lacrime,
quando canta la gru
nelle primavere del nostro cuore incenerito
sulla morta città!
Parla! Non è forse la tua anima immacolata
che vuole baciare i nostri occhi 
dalle funeree pupille,
colme d'implacabili follie
e che ben sanno il nostro santo Male?

Quando cacciato dai barbari
Un giorno - La morte nell'anima - 
avvinto dal terrore presente
non osando guardar l'Avvenire,
io mi vidi solo, abbandonato
senza patria senza tetto,
sul cammino dell'esilio
su cui la speranza fuggitiva come un vento infiammato ed ululante,
gli occhi ancor pieni dell'orgia spaventevole
                                                 del sangue
e del fosco dramma dei cieli
popolati da macabri corvi,
quando ho sentito le funebri cesoie sulla mia testa
grave di care assenze e the ti rivisti i distacchi,
il fuoco della tua Lampada
ha brillato d'un tratto sul mio cuore...
ha rinsaldate delle fibre dolorose
il tuo fuoco, o Gregorio...
E' disceso sì come un poema
nato da una Bellezza spaventevole,
un poema in cui languiva la Notte
con tutte le sue meraviglie e i suoi splendori
e il Giorno dalle ipocrite passioni
Con tutte le sue Disfatte, 
- il Poema
ricco di sangue, ricco della vita dai lirici singhiozzi...
Il Tuo fuoco, Gregorio,
io l'ho visto con i miei occhi mortali
che conobbero tutte le illusioni
nelle ore di oltraggio
sulle orme rosseggianti,
Il tuo fuoco col suo paradiso o di chiarità
eternizzato nell'amore inestinguibile
della Terra in cui ho portato ovunque
il pianto atroce per la pietà latina!...
E chiuderò un giorno i miei occhi 
pieni della tua luce,
O Gregorio, nostro Illuminatore;
i miei occhi, questo libro di memorie
nel quale si svolge una vita
in movenze fastose, 
una vita sorta in pieno sole
dal seno lussurioso
di un paese dalla volontà trionfatrice
e dalle pure passioni.

Così morirò una sera, 
laggiù,
sognando dolcemente,
(ah, cupo amante di dolorose attuazioni!)
chiudendo la tenera bontà della mia terra materna
nella misera argilla umana
dei miei occhi serrati, 
Ricordati Tu, allora, o santo della mia terra,
che i miei occhi, chiusi nella notte
custodiscono tutte le tristi saggezze
che l'anima e la carne in esilio
su tutte le strade
sotto tutte le stelle straniere
hanno solo sospirato,
e avvicinando la tua lampada
ai miei occhi velati,
guarda, Gregorio, guarda, 
nel fondo nel fondo
e vedrai profilarsi, come in un chiostro,
bianche forme senz'ali
singhiozzanti parole di cenere
e baci di sangue,

Saran gli odi, i dolori irrilevati,
quelli che ho chiusi nel geloso ardore
e niuno ha mai incontrati
sulle mie strade di esilio...