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"La Leggenda della Vedova" di Eghishe Turian




Eghishe Turian (Եղիշե Դուրեան) nacque a Iskudar il 23 febbraio 1860, fratello dell' "usignolo di Iskudar", di Bedros Turian, fu anche un insigne poeta. Fu Patriarca degli Armeni a Gerusalemme, dove morì il 27 aprile 1930.

Presentiamo il poemetto intitolato "La Leggenda della Vedova" nella versione italiana di Virginio Garea. Tale traduzione apparve sulla rivista "Conquiste" nel 1939.


Ognor, di coltre in coltre, d'alcova passando in alcova,
sospirando il ritorno al languido suolo de l'amore,
non poté nel occulta angoscia una lacrima dar.

Uno dopo l'altro sette suoi gli sposi, infelici germani...
Il più vecchio le aveva sussurrato con voce commossa:
"Planta della mia vita, oh, lascia o mia cara, o mia sola
che un eden giocondo io eriga per te!"

Il secondo a sua volta, andante tuttor di delizie,
mollemente disteso, diceva con voce languente:
"Lasciami costruire un tempio nel quale ti possa
adorare in perpetuo, o fiamma che scalda il mio cuore!"

Anco ancor della febbre che viene da un tenero amore
aveva detto il terzo, in seno a la notte sublime:
"O sorgente d'Amore, concedi ch'io scavi uno stagno
purissimo che specchi de la tua fronte il fulgor!"

Da la pioggia sfinito de' baci il suo quarto consorte
avea bisbigliato, con voce tremante di affetto:
"Mia cara tortorella, intessere lasciami il nido,
un delizioso nido, adatto al tuo corpo gentil!"

Fisandola ne l'estasi, a le sue braccia aggrappato,
aveva sciamato il quinto: "Mia dolce, mia sola capretta,
monti di belzuini lascia ch'io stenda ai tuoi piè!"

E, lo sguardo morente negli occhi fulminei vagante,
il sesto mormorava a lei china sul letto di morte:
"Candela della mia carne, alma mia dolce, vorrai
che per te sola io fonda una tutta candela d'or?"

Ma tutti han visto, ahimè, passar senza fermarlo,
sì come raccontava il rozzo seducco,
l'acre sapor del miele, l'olezzo delle rose
nell'ombra senza aurora, legata a' loro piè.

Tastando le gracili spalle, teneramente, l'estremo
e minor degli sposi morti sì presto sussurra:
"Slancio dell'
anima mia, angiol caduto dall'alto,
ali per te novelle lasciami costruir!"

Ma quando al firmamento voleva recarsi l'amore,
l'amore suo è il sogno, stanco di questa terra,
morte lo colse e sola rimase la sua vedova
senza un fanciullo e senza un battito nel cuor.

La misera di vizio si lasciò andare in vizio...
Allor che tristi nenie piangevano l'ultimo sposo,
ella, assisa in un grigio angolo de la casa
anch'ella infine il suo cordoglio immenso lacrimò.

Nessun desio ormai sentiva di vivere ancora,
questa donna creata per seppellire degli uomini,
che, sotto l'anatema del velo funébre, ricurva,
una culla soltanto cullare non poté.

E la candela d'oro, e  de' belzuin le montagne,
Lo stagno, il nido, l'eden ed il magnifico tempio,,
tutto passò, tutto crollò: non fu quella infelice,
angiol non fu nel cielo, né madre sotto il sol!...